giovedì 24 dicembre 2015

frohe Weihnachten


Vom Geben


Dann sagte ein reicher Mann: Sprich uns vom Geben.
Und er antwortete. Ihr gebt nur wenig, wenn ihr von eurem Besitz gebt.
Erst wenn ihr von euch selber gebt, gebt ihr wahrhaft.
Denn was ist euer Besitz anders als etwas, das ihr bewahrt und bewacht aus Angst, daß ihr es morgen brauchen könntet?
Und morgen, was wird das Morgen dem übervorsichtigen Hund bringen, der Knochen im spurlosen Sand vergräbt, wenn er den Pilgern zur heiligen Stadt folgt?
Und was ist die Angst vor der Not anderes als Not?
Ist nicht die Angst vor Durst, wenn der Brunnen voll ist, der Durst der unlöschbar ist?...........

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24 Dezember 2015


Ein Ausschnitt aus dem Buch, der Prophet von Khalil Gibran


giovedì 10 dicembre 2015

la tenerezza



Un grande augurio a tutti noi per un felice  Natale con tante tante tenerezze... !!!



lunedì 30 novembre 2015

Vorrei.....


Vorrei....

Vorrei essere
come l’acqua di un ruscello,
che scorre, scorre,
morbida e lucente,
accarezza gli ostacoli,
e senza indugio,
li lascia dietro sé.
Crea il suo percorso,
con innocente curiositá,
senza un fine.
Ma morbida e lucente
continua a scorrere.

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Graziella Torboli
30 nov.2015

martedì 24 novembre 2015

un pensiero sulla violenza





Ignoranza e cupidigia, sono la culla della violenza.
Essa é presente in tutti noi, ma non sempre vogliamo accettare questa realtá.
Osservare e individuare la propria violenza significa diventarne consapevoli.
Solo cosí potremo evitare di danneggiare noi stessi e il nostro prossimo e finalmente scoprire che l’amore di sé é anche amore per gli altri.


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Graziella Torboli
24 novembre 2015

venerdì 20 novembre 2015

Ophelia - Anastasia

Nel cielo di Berlino é sorta una nuova stella, Ophelia - Anastasia !!!

La mia nipotina che ancora non conosco, ma che ben presto stringeró al mio cuore !!

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18 novembre 2015


domenica 15 novembre 2015

l'amore


L’ amore

Tramonta un’amore
ma non svanisce,
tramonta il sole,
ma illumina la luna,
L’ amore é luce,
si sparge ovunque,
senza sosta, senza fine.

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Graziella Torboli
15 nov. 2015

martedì 10 novembre 2015

coppia diabolica




Invidia e competivitá sono i sostenitori del nostro malcontento, della nostra insoddisfazione e della nostra frustrazione.
Questa diabolica coppia, con il loro sorriso mellifuo e con promesse invitanti, si sta diffondendo ovunque con grande successo.
Ci spronano a desiderare sempre piú cose, ci spronano a voler essere i migliori, i piú belli, i piú bravi, i piú ricchi ecc. Si insinuano nei nostri pensieri e condizionano la nostra volontá.
Detto questo, penso che nessuno voglia conoscere questa coppia diabolica. Ma sarebbe un grande sbaglio. L’invidia e la competivitá sono sempre intorno a noi ed é consigliabile fare la loro conoscenza. Per poterci difendere dobbiamo conoscere quello che succede in noi, cosa ci piace, cosa desideriamo, cosa ci dice il cuore. Non lasciamoci coinvolgere da cose estranee a noi stessi.
Impariamo ad ascoltarci !!

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Graziella Torboli
Nov. 2015

sabato 31 ottobre 2015

Notte




Notte oscura e fredda,
senza luna e stelle,

stanco é un’amore,
che non sente
il profumo di un fiore,

privo di gioia
il sentimento,
senza speranza
la mente.

stanca é la vita
della madre,
che inerte giace
e la fine attende.

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Graziella Torboli
31 ottobre 2015



domenica 11 ottobre 2015

illusione




Credere di sapere cosa pensa un’altro,
é come credere di sapere.. di sapere.

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Graziella Torboli
11 ottobre 2015

giovedì 24 settembre 2015

l' aviditá


L’ aviditá

Buon giorno!
Da ieri sera i miei pensieri sono occupati dalla parola „ aviditá „.
Mi sto chiedendo, perché noi, esseri umani, siamo diventati tanto avidi.
La nostra aviditá, non solo danneggia le vite umane ma anche il nostro pianeta.
Nessun animale é avido e noi li chiamiamo „ speci o sottospeci“. Noi non ci sentiamo  una specie, ma un essere superiore a tutte le altre.
Ma se veramente siamo un essere superiore, perché siamo ciechi davanti ad una evidenza cosí comune?
Cosí chiara ? È l’ aviditá che ci accieca?
Abbiamo permesso al denaro di superare il valore di ogni etica. Gran parte dell' opinione pubblica é del parere che... „Tutto é permesso quando c’é profitto „ .
La nostra vita , si é trasformata o si sta trasformando, in una corsa al denaro.
È questa la nostra vita?

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Graziella Torboli
Settembre 2015

domenica 6 settembre 2015

la festa granda


La festa granda

Nel paese dove abito, la gente ama festeggiare.
Durante tutto l’anno, una sagra segue l’altra. La sagra di s. Giovanni dura tre giorni perché  é il patrono del paese. Le sagre dedicate al cibo sono tante perché in questo paese e in questa regione il cibo ha un’importanza capitale. La sagra dei tortelli, del salame, della polenta e cotechino, della cioccolatta, del vino e altre ancora. A tutte le sagre mi canta e si balla.
Al centro del paese si trova il corso. A metá del corso si apre una grande piazza dove troneggia il palazzo del municipio. Mi sorprende non ci sia una fontana zampillante. Non c’è altro da elencare di questo paese, oltre al corso solo stradine, case, negozietti, niente di veramente interessante. Il corso é il centro di tutti gli eventi.
Mi sono chiesta spesso, perché mai mi piaccia stare in questo paese. Ho trovato una risposta.
Mi piacciono le persone che ci abitano. Quando vado in paese respiro qualcosa come ottimismo e leggerezza. Non so spiegare la ragione, é cosí.
Alcuni giorni orsono, ho notato con stupore che tutte le strade e viuzze e naturalmente, il corso, erano state addobbate con tante bandiere tricolore. Incuriosita, ho chiesto ai miei vicini ed ho appreso che domenica ci sarebbe stata una grande manifestazione.
„ la festa degli alpini“ Il centenario 1915 - 2015. „La festa granda“.Tutti gli alpini della regione Emilia Romagna avrebbero partecipato all’evento.
Nei due giorni antecedenti, erano state chiuse al traffico alcune strade, compreso il corso, per lavori di allestimento.
In cinque anni ho giá visto tre manifestazioni dedicate agli alpini.
Alle dieci di domenica mattina mi sono incamminata verso il centro. Ovunque si fosse, ci seguiva la voce altisonante di un oratore che raccontava la storia degli alpini e delle due grandi guerre. In tutto il centro erano stati installati degli altoparlanti.
Non mi sento molto attratta dalla folla e la evito volentieri, ma la festa degli alpini mi interessava e speravo di sentire cantare il coro. La canzone: „Signore delle cime“ é la preghiera dell’alpino ed é una canzone che conosco bene e solo al pensiero mi emoziona.
Arrivai giusto in tempo per vedere la grande sfilata con centinaia di alpini, di bandiere, gip militari e tre muli sellati. La banda suonava e gli alpini, con i loro cappelli verdi e la penna ritta, marciavano verso il municipio. La piazza era colma di gente e tutti applaudivano.
Aspettavo pazientemente che il coro si esibisse. Mi subii tutti i discorsi delle aurotitá. Nella piazza faceva molto caldo ed il sole mi scottava in testa.
Ad un tratto vidi salire il coro sul palco. Felice mi misi in ascolto.
Con mia grande delusione venne annunciata la s. Messa ed il coro inizió un canto liturgico.
Ma perché non cantano le canzoni della montagna? Questa domanda la feci solo a me e non ebbi risposta.
Triste, mi incamminai verso casa e passando dal fornaio, comperai del pane.


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Graziella Torboli
6 settembre 2015

 

venerdì 4 settembre 2015

sul rancore


sul rancore

Come superare il rancore per qualcuno?
Non é un’atto facile  ma senz’altro liberatorio.
Durante la nostra vita accumuliamo molti rancori per situazioni passate, per sofferenze subite   consciamente o inconsciamente..
Non ho intenzione di parlare dell’infanzia anche se,  farne un breve accenno é inevitabile dato che la nostra infanzia é la fonte di inconsci rancori. Ma se noi pensiamo che tutti i nostri problemi derivino dall’infanzia tanto vale smettere di discutere e rassegnarci al nostro infelice destino.
Tuttavia io non intendo parlare di rancori inconsci, bensí di quelli consci.
Viviamo in un mondo farcito con conflitti di ogni genere. Invidie, soprusi, aviditá e competizione..
Tutti questi conflitti provocano delle palesi conseguenze.
Ma la conseguenza piú grave é il rancore. Contro chi sentiamo rancore? Contro di noi o contro gli altri? Questo punto dobbiamo chiarirlo nel nostro cuore.
Sentiamo rancore verso gli altri quando subiamo un torto, ma manteniamo il rancore dentro di noi quando non riusciamo a reagire in modo adeguato.
Vivere con il rancore nel cuore, é come vivere con il sole oscurato da una nuvola nera.
Penso,  non piaccia a nessuno.
A parer mio,   il rancore per una persona che ci ha fatto un torto, o con la quale abbiamo avuto uno diverbio, é ammettere consapevolmente di aver partecipato in ugual misura alla nascita del conflitto, perché non sorge nessun conflitto da una persona singola.
Il fatto di riconoscere la nostra partecipazione al conflitto, ci da inoltre modo di non sentirci vittime indifese, sempre che non ci teniamo ad esserlo.
Per individuare la nostra complicitá nel conflitto, é indispensabile  armarci di luciditá mentale e autostima. E´indubbio, che grazie a questa riflessione , potremo vivere meglio con noi stessi e con gli altri.

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Graziella Torboli
Settembre 2015




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domenica 9 agosto 2015

il cartone colorato



Un giorno ebbi l’idea di mettere ordine in cantina.
Da tempo accumulavo vecchie cose e giú, c’era un pò di disordine. Mi misi subito al lavoro.
Aprii vecchi cartoni per vedere quello che contenevano. Foto, giocattoli, libri, dischi, computer, anche un televisore.
Continuai per un pó ad accatastare in ordine di contenuto i cartoni ed intanto pensavo a cosa farmene di tutte quelle cose. Regalarle? Buttarle?
Lavoravo spedita ma all’erta, per schivare i grossi ragni che disturbavo col mio trambusto. Non che avessi paura di loro ma mi impressionavano un poco.
Ad un tratto, mi imbattei in un cartone che mi era sconosciuto. Stava in un angolo della cantina nascosto da altri cartoni. Al contrario degli altri, che erano di colore marrone, lui era colorato, aveva i colori dell’arcobaleno.
Per toglierlo dal suo angolo dovetti prima, con riluttanza, ripulirlo da tutte le ragnatele che lo ricoprivano.
Ero molto incuriosita di vedere il suo contenuto.
Lo aprii. Subito mi avvolse un profumo conosciuto, di vecchi tempi, di primavere dimenticate. Guardai il contenuto e vidi molte vecchie lettere e immagini sbiadite.
Rovistai fra le lettere, lessi quá e lá. Tutte erano scritte da me, ed erano per me.
Non ricordavo d’aver mai scritto quelle lettere ma erano lí davanti ai miei occhi, non potevo ignorarle.
Chi altri avrebbe potuto conservarle all’infuori di me stessa ?
Decisi di leggerele per capire.
Il tempo si fermó. Mi immersi nelle mille parole scritte da me, nelle perfette descrizioni delle mie paure, insicurezze, sofferenze. Della mia solitudine.
Risentii la voce di mia madre che urlava le sue idee ed i suoi moralismi, mentre io non riuscivo mai a contraddirla. Mi apparvero i suoi occhi verdi che tanto temevo.
Per un attimo,  sentii il profumo dell’ acqua di selva che mio padre ogni mattina,  mettendone  qualche goccia sul suo fazzoletto lo passava poi sulle guance rasate di fresco. Come mi piaceva l’odore di mio padre.
Vidi il mio amato lago, sentii il suo odore di acqua cristallina e alghe, sentii lo scrosciare delle sue onde quando si infrangevano sui massi della riva. Vidi la grande montagna, mia amica e protettrice. Vidi una bimba che in estate ricamava seduta sotto l'ombra di un grande melo. Quanti profumi, quanti ricordi.
Ad un tratto, come mi risvegliassi da un sogno, mi trovai seduta a terra con decine e decine di vecchie lettere sparse intorno a me. Mi bruciavano gli occhi e la voglia di piangere mi serrava la gola.
Mi chiesi: a che serve conservare questo cartone pieno di ricordi ? Perché era finito in quell’angolo buio e remoto? Perché l’avevo rimosso?
Rimasi seduta a pensare. Vecchie immagini di vita passata volteggiavano intorno a me come tanti fantasmi. Il cartone non emanava piú l’odore conosciuto ma odore di polvere e muffa. La magia del passato, del ricordo, era svanita.
Uscii dal buio della cantina e andai in giardino. Il sole era alto nel cielo, le rose fiorivano e sul fico, cinguettavano gli uccelli. Il mio sguardo si volse al cielo azzurro. Mi venne voglia di volare.
Tornai in cantina, presi il cartone, lo portai fuori e lo adagiai sul prato. Lo aprii. Il sole invase il contenuto, la brezza mise i fogli in movimento.
Poi, come per incanto, vidi poco a poco,  sparire ogni cosa, cartone e contenuto.
Rimasi allibita a guardare il cielo e pensai:
Il mio passato ha trovato la libertá ed é svanito nello spazio, io sono qui, nel mio presente.

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Graziella Torboli 2015

venerdì 31 luglio 2015

sorriso alla vita


sorriso alla vita


La mia vita
è polvere di stelle,
una folata di vento,
un lampo all’orizzonte,
ed un cuore
raggiante d’amore
avvolto nell’aurora.

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Graziella Torboli
luglio 2015

mercoledì 15 luglio 2015

Incanto


Incanto


Guglie d’argento puntate verso un cielo
di splendente azzurro,
aria frizzante, profumata, leggera,
silenzio puro,
spazi invitanti, grandiosi,
dimensione spietata di natura possente,
svanito ogni potere umano,
e appare, sí una piccola stella nella notte,
la tua vita.


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Graziella Torboli
 luglio 2015

mercoledì 1 luglio 2015

i venditori di Fede


I venditori di Fede


Questa mattina, due signori hanno suonato alla mia porta.
Aprii.
Dopo avermi gentilmente salutata, mi fecero una domanda dalla quale presupposi che fossero venditori di Fede. Lo erano.
Mi chiesero: „Se lei potesse, che cosa vorrebbe cambiare nel mondo di oggi?“.
Spontaneamente risposi: niente.
I due, visibilmente sorpresi dissero: nessumo ci ha mai dato questa risposta“
Cosí spiegai loro  perché  la pensavo cosí.
„A parer mio, „ dissi „ nessuno é in grado di cambiare le cose perché ció che noi viviamo é la conseguenza di ció che siamo. Ognuno di noi puó collaborare al cambiamento chiarendo le cose dentro di sé. Non vedo altra possibilitá.
Cambiare le cose, non significa fare il contrario di ció che fanno quelli che noi biasimiamo, bensí riflettere su quello che noi siamo, includendo il nostro bello e il nostro brutto.
Tutti vogliamo che la vita intorno a  noi migliori, ma aspettiamo che qualcuno se ne occupi,
Ogni cambiamento comporta  insicurezze e paure; sorgono cose nuove, sconosciute, nuovi punti di vista, nuovi orizzonti..
La vita é una grande avventura e una grande sfida alle nostre capacitá spirituali.

I due venditori di Fede non dissero piú nulla, mi salutarono gentilmente.
Penso che non suoneranno piú alla mia porta.

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Graziella Torboli
1 luglio 2015

domenica 21 giugno 2015

nostalgie



Nostalgie

I figli vengono, vanno,
folate di felicitá,
che portano la vita,
carezze al cuore,
traboccanti emozioni.
Ritorna il silenzio,
pacato, assordante,
lo sguardo s’inoltra,
nel cielo infinito,
dove c’é morte,
dove c’è vita,
scorre lo sguardo,
si placa la mente,
sorge un sogno,
e con lui, un sorriso.

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Graziella Torboli 
giugno 2015

sabato 13 giugno 2015

il tempo


Il tempo

Vedo il tempo,
come un uccello
che invade lo spazio
senza limiti,
percorsi imprevisti,
salgono, scendono,
avvolti da nuvole,
bruciati dal sole,
volo sicuro,
senza sosta
verso l’infinito.

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Graziella Torboli
giugno 2015

mercoledì 10 giugno 2015

Fritz Riemann


Aus dem Buch „ Grundformen der Angst“
Von Fritz Riemann


...... und noch einmal zum Thema Angst: Wenn wir uns quälende Ängste auch als Hinweis verstehen, daß wir irgendeiner Fehlhaltung befindlich sind, oder vor einer der große Forderungen des Leben zurückscheuen, einen Entwicklungsschritt nicht wagen, kann uns das helfen, den  Aufforderungscharakter der Angst zu erkennen, über unsere jeweilige Entwicklungsstufe hinauszuwachsen in eine neue Freiheit, zugleich in eine neue Ordnung und Verantwortung.
Dann kann sie uns ihren positiven, schöpferischen Aspekt zeigen und zum Anstoß für eine Wandlung werden.
Wenn es jemand gäbe, der sowohl die Angst vor der Hingabe in echtem Sinne verarbeitet hätte, und sich in liebendem Vertrauen dem Leben und den Mitmenschen öffnen könnte; der zugleich seine Individualität in freier, souveräner Weise zu haben wagte, ohne die Angst, aus schützenden Geborgenheit zu fallen; der weiterhin die Angst vor der Vergänglichkeit angenommen hätte, und dennoch die Strcke seines Leben fruchtbar und sinnvoll zu gestalten vermöchte; und der schließlich die Ordnungen und Gesetze unserer Welt und unseres Leben auf sich nähme, im Bewußtsein ihrer Notwendigkeit und Unausweichlichkeit, ohne die Angst, durch sie in seine Freiheit zu sehr beschnitten zu werden. -
Wenn es einen solchen Menschen gäbe, wir würden ihm zweifellos die höchste Reife und Menschlichkeit zuerkennen müssen.
Aber wenn wir uns dem auch nur eingeschränkt nähern können, erscheint es doch als wesentlich, überhaupt das Bild einer vollen Menschlichkeit und Reife als Zielvorstellung zu haben;  sie ist keine von Menschen erdachte Ideologie, sondern eine Entsprechung der grosse Ordnungen des Weltsystems auf unsere menschlichen Ebene.


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10 juni 2015

sabato 16 maggio 2015

dipendenza




Di-pendere
Di-pendenza,
libertá venduta
allo sconosciuto,
ali strappate alla vita,
mente prigioniera,
cieca, sorda,
dipendenza.

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Graziella Torboli
 2015

sabato 25 aprile 2015

Edward Frenkel

Aus dem Buch von Edward Frenkel über " Liebe und Mathematik"

Eine mathematische Formel kann die Liebe nicht erklären, aber sie kann ein Übermittler der Liebe sein.
Wie die Dichterin Norma Farber schrieb:

Mache mir keine faule Liebe,
Bewege mich von Fall zu Fall.

Die Mathematik bewegt uns "von Fall zu Fall" , und hierin liegt ihre tiefe und grösstenteils unerschlossene geistige Funktion.
Albert Einstein schrieb " Wenn man wirklich Wissenschaft betreibt und der wissenschaftlichen Erkenntnis nachjagt, dann bekommt man den Eindruck nicht los, dass irgendein Gott oder Geist sich in den natürlichen Gesetzen manifestiert hat, der sehr viel höher ist als der Mensch. Und Isaac Newton drückte seine Gefühle folgendermaßen aus: " Mir kam es so vor, als sei ich nur ein kleiner Junge, der am Strand spielt und sich daran erfreut, von Zeit zu Zeit einen glatteren Kieselstein oder eine hübschere Muschel als gewöhnlich zu finden, während der große Ozean der Wahrheit unentdeckt vor mir liegt.
Es ist mein Traum, dass wir alle uns eines Tages dieser versteckten Wirklichkeit bewusst werden. Dann sind wir vielleicht in der Lage, unsere Differenzen zu vergessen und uns auf die grundlegenden, uns vereinigenden Wahrheit zu konzentrieren. Und wir sind dann vielleicht wie Kinder, die am Strand spielen und die blendende Schönheit und Harmonie bewundern, die wir gemeinsam entdecken,
teilen und schätzen.

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April, 2015

lunedì 20 aprile 2015

Primavera


L'amore è un sentimento sublime,
l'innamoramento è un sentimento accecante.
Voler... sentirsi giovani è una trappola,
ma sentirsi vivi è come volare.

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Graziella Torboli
aprile 2015

domenica 29 marzo 2015

L' aereo infranto


La pazzia

Come una brace,
latente, nascosta,
brucia il cervello,
la pazzia.

Rende in cenere,
quel che raggiunge,
insaziabile,
la pazzia.

Insinuante, silenziosa,
oscura orizzonti,
un mostro ghignante,
assetato di morte.

Funesta mente,
la pazzia.

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Graziella Torboli
29 marzo 2015

sabato 28 marzo 2015

vita vissuta


La valle dei re.

Da alcuni anni , abitavo in un romantico paesino, circondato da campi e boschi, vicino al lago di Costanza.
Avevo fatto domanda di pensione e volevo finalmente godere del mio tempo libero. Pensavo a tutte quelle cose che negli ultimi 35 anni, avevo rimandato al futuro, La mia numerosa famiglia non mi aveva lasciato spazi liberi, ma mi sentivo soddisfatta del mio lavoro di madre. I miei figli, dopo vari studi o scuole professionali, si erano sparsi un po’ ovunque ed erano occupati a realizzare la loro vita. In quanto a me, dopo il divorzio da mio marito non avevo piú avuto un compagno.  Negli ultimi dieci anni avevo lavorato e seguito i miei figli. Non avevo avuto modo di conoscere altri uomini e non ne avrei avuto nemmeno il tempo.

Dopo due anni di vita silenziosa, da vera pensionata, ricca di passeggiate sul lago e nei boschi, ora che vivevo sola, provai il desiderio di fare delle conoscenze maschili, di trovare un compagno.
Ci pensavo spesso e mi guardavo intorno per vedere chi poteva piacermi. Lo so che è una cosa ridicola, ma questo era il mio modo di fare. Oltre alle mie passeggiate nel bosco o sul lago , andavo regolarmente a trovare i miei figli che abitavano, alcuni in Italia, alcuni in Germania. Non ho ancora detto che avevo sposato un tedesco e che con lui mi ero trasferita nel suo paese.

Da tanto tempo desideravo ritornare in Italia, ma non riuscivo a decidere dove sistemarmi. Cosí tenevo il mio desiderio nel cuore, e aspettavo.
Un bel giorno, fra gli scaffali del supermercato del paese, mi imbattei in Jochen.
Lui mi chiese delle banali informazioni, io gentilmente risposi e inizió cosí la nostra conversazione.
Lui mi invitó al bar vicino per prendere un caffé. Scambiammo alcune informazioni personali e ci divertimmo alquanto. Jochen era simpatico, cortese e un po’ galante. Aveva la mia etá ed era pure lui divorziato e pensionato. Era ingegnere ed aveva lavorato in un istituto tecnico.
Iniziammo a frequentarci.
La mia vita fu travolta da un uomo pieno di idee e voglia di vivere.
Mi innamorai perdutamente, per meglio dire, come una quindicenne.
Dopo i primi mesi, avendo avuto modo di conoscerci meglio, avevo scoperto alcuni suoi lati caratteriali che non combaciavano con i miei.
Per esempio, il suo modo spartano di vivere che poco o tanto mi imponeva e la sua pedanteria. Lui affermava di non aver paura di niente e mi derideva delle mie paure. Aveva l’arte di trasformarsi da despota autoritario a umile servitore, con grande capacità di mascherarsi. Un tatticone professionista.
Però, avavamo anche molte cose in comune e insieme ci divertivamo moltissimo. Purtroppo, le sue trasformazioni contradditorie si rivelarono di impedimento per  una relazione soddisfacente. Io amavo Jochen e speravo che il tempo mi aiutasse a migliorare il nostro rapporto. Ma la speranza non basta per cambiare le cose.,
Un  giorno Jochen  mi propose un viaggio in Egitto. Io non esitai un attimo ad accettare, perché andare in Egitto era un mio  sogno. Avevo letto molti libri su scavi egizi, su Faraoni e la loro cultura. Ne ero affascinata.

Jochen organizzó il viaggio. Mi aveva imprestato un suo grande zaino per metterci le mie cose. Io, dovevo solo trovarmi a casa sua, a Stoccarda, il giorno della partenza e non occuparmi di altro.
Mi diede un Reiseführer perché mi informassi sugli usi e costumi del paese.
Lui aveva organizzato il viaggio in aereo e in treno, ma niente altro. Jochen non era il tipo da fare prenotazioni in albergo, preferiva dormire in macchina o dormire su un prato guardando le stelle.
A lui sarebbe bastato il suo Reiseführer, ma non a me. Io non avevo mai viaggiato con uno zaino in spalle,  non mi sentivo a mio agio ma ero incuriosita.
Da casa sua prendemmo l’autobus per andare alla stazione. Da lí, partimmo in treno per Monaco dove ci aspettava l’aereo.
Saremmo arrivati al Cairo alle 3 di mattina. Jochen non aveva  prenotato un albergo, perchè  il treno che andava a Luxor sarebbe partito alle ore 8 della stessa mattina. C’era un’attesa di tre ore che avremmo dovuto trascorrere nella sala d’aspetto dell’aeroporto.
Jochen  preoccupato della mia notte in bianco, mi fece promettere, prima di partire, che in quelle tre ore avrei dormito sdraiata sulla panchina della sala d’aspetto. Io promisi.
La prima grande lite giunse con il nostro arrivo al Cairo.
Usciti dall’aeroporto ci trovammo in una grande sala d’aspetto. Fuori, c’era la stazione degli autobus.
Dopo aver depositato i nostri zaini su una panchina, Jochen mi disse subito di sdraiarmi su un’altra panchina e di dormire. Lui avrebbe badato ai bagagli. Io avevo tanta voglia di bere un caffé e cercai un bar.
Jochen rimase con i bagagli. Quando tornai, Jochen ricominció la storia di farmi sdraiare. Io non volevo perché ero anche molto agitata. Mi rifiutai. Lui inizió a sgridarmi e a urlare contro di me dicedo che non mantenevo le promesse fatte.
Io lo guardavo un po’ smarrita, la sua rabbia mi fece venire le lacrime agli occhi,  non capivo il suo modo di fare.
Mi sdraiai su di una panchina per farlo tacere. Ero in una sala d’aspetto all’aeroporto del Cairo e mi sentivo una senzatetto. Che cosa potevo fare? Ne ucciderlo, ne scappare. Aimé.
Mentre ero sdraiata guardavo gli uomini che facevano pulizia. Non c’era pubblico a quell’ora. Gli occhi degli uomini mi fissavano da ogni parte della sala mentre lasciavano scivolare lentamente il moccio avanti e indietro. Il nostro litigio aveva destato non poco la loro curiosità anche se non avranno capito una parola.. Dovevo chiudere gli occhi per non vedere quegli sguardi scuri e a parer mio anche minacciosi. Non riuscivo a rimanere sdraiata e mi rialzai. Jochen ricominció a sbraitare ed io gli consigliai di andare a bersi un caffé. Lui andó via ma tornò quasi subito e ricominciò a darmi ordini. Mi faceva sentire come un cane che non vuole andare a cuccia.
Verso le sei di mattina, Jochen uscí per vedere  da dove sarebbe partito l’autobus per la stazione dei treni. Quando tornó, dopo una mezz’ora, disse che l’autobus non c’era e che avremmo dovuto andare a piedi alla stazione.  Io lo guardai stravolta e dissi che potevamo prendere un Taxi. No, disse Jochen, non serve, andremo a piedi.
Era maggio. Il sole stava salendo,  l’aria era calda, c’era silenzio intorno a noi.
zaino in spalle, ci incamminammo.Ero stanca e molto incazzata.
Davanti a me si estendeva una strada a piú corsie, una retta interminabile costeggiata da file di alberelli. Non c’era altro. Ogni tanto passava un Taxi e ci faceva il verso per caricarci. Jochen camminava davanti a me imperterrito perché dalle informazioni avute, dovevamo arrivare ad un distributore dove si fermavano gli autobus. Io sudavo e lo zaino mi pesava. Non capivo il comportamento di Jochen, ma non mi fidavo a contraddirlo per evitare un’ altra lite. Arrivammo al distributore. Jochen, parlava un poco di inglese, io invece, niente e, di conseguenza non potevo chiedere alcuna informazione senza il suo aiuto.
„L’autobus non si ferma quì’’ disse Jochen. Era piuttosto alterato ed io non dissi nulla. Quando lui propose di continuare a piedi io mi rifiutai e pretesi un taxi.
Penso che anche lui dopo una notte insonne fosse assai stanco, anche se da bravo spartano, non lo avrebbe mai ammesso.
Prendemmo un Taxi, se così si poteva chiamare quel cartoccio rumoroso e puzzolente di benzina, che ci condusse alla stazione.
Andammo allo sportello per aquistare i biglietti ma rimanemmo delusi. Non c’erano piú biglietti per Luxor, ci dissero. Il treno, per  nostra fortuna, aveva due ore di ritardo.
Jochen non riusciva a capacitarsi. Parló con il tipo dello sportello e apprese che doveva parlare con la polizia della stazione per avere piú informazioni.
Jochen mi disse di aspettarlo in un bar mentre lui andava a cercare i poliziotti.
Stare seduta da sola in una bar alle otto di mattina alla stazione del Cairo non é molto divertente. Avevo ordinato un té e sgranocchiavo le noccioline che mi ero portata da casa. Non mi fidavo a guardarmi intorno perché subito incontravo occhi curiosi e poco amabili che mi fissavano. Rimasi per un’ora a guardare per terra mentre aspettavo Jochen.
Per mia sfortuna, sentii il bisogno di andare al bagno ma non sapevo come fare con i bagagli. Aspettai per un’ora intera e nel frattempo stavo sentendomi male.
Quando Jochen finalmente tornó con i biglietti, corsi al bagno. Rimasi inorridita alla vista del bagno per le signore, non avevo mai visto nulla di piú stomachevole. Putroppo dovetti entrare, non avevo scelta. Piú tardi, Jochen mi spiegò, che i biglietti venivano venduti dalla polizia di città solo ai turisti. Chi non aveva prenotato il viaggio in un’agenzia, doveva rincorrere i poliziotti e pagare un prezzo maggiorato per la loro provvigione. Ogni paese ha i suoi usi e costumi.
Partimmo per Luxor. Ai turisti era permesso di viaggiare solo in prima classe.
Prendemmo posto in un reparto abbastanza confortevole ma pieno zeppo di viaggiatori. Il viaggio sarebbe durato tutta la notte. Fui sorpresa della pulizia nel bagno del treno. Erano impeccabile. Davanti alla porta del bagno,  seduto su di un cuscino damascato,  un’egiziano faceva la guardia giorno e notte. Fuori, nel corridoio, passava continuamente un uomo che raccoglieva i rifiuti da terra.
Ci venne servito del cibo che io rifiutai. Quando si tratta di cibo mi rivelo un’italiana purosangue. Anche questo mio lato veniva duramente criticato da Jochen.  Ormai , da due giorni vivevo di noccioline, pane secco e acqua minerale. Ero stanca e arrabbiata con Jochen. Senza mangiare e dormire non è facile mantenere il buon umore specialmente con un compagno che faceva il possibile per complicarmi la vita.
Mi volsi verso il finestrino, e presi a guardare il panorama. Non avevo voglia di parlare.
Davanti a me, sfilava l’Egitto. Il paese che avevo tanto sognato di vedere.
Mi riempii gli occhi di un panorama mai visto prima, di orizzonti infuocati, di piante sconosciute, ma vidi anche molti paesi dove la povertá era nell’aria e l’immondizia ovunque.
Dopo una lunga e rumorosa notte nel vagone letto, arrivammo a Luxor.
Jochen consultó il suo Reiseführer e andammo alla ricerca di un albergo.
Non fu una cosa facile, ma alla fine lo trovammo. Finalmente potevo fare una doccia e dormire in un letto. Il caldo era torrido anche di notte. Sopra il letto, appesa al soffitto, girava una grande ventola che faceva piú rumore che aria. Non si poteva dormire con quel rumore. Cosí, dormimmo sudando.....
Il giorno dopo, eravamo riposati e pronti a partire per la valle dei Re.
Prendemmo un Taxi che ci portó a destinazione. Jochen si infurió con il taxista perché voleva piú soldi del prezzo pattuito. Io rimasi in parte ad aspettare e intanto ammiravo il panorama. C’erano molti turisti arrivati con i pullmann, che si fiondavano direttamente nei piccoli chioschi dove  c’era di che dissetarsi e di sfamarsi.
Io mi ero portata l’acqua minerale, le noccioline e dei cracker.
Finalmente Jochen si chetó e insieme ci avviammo a visitare le tombe dei re d’Egitto.
Jochen era molto agitato, non capivo se per colpa del tassista o per l’ansia di vedere le tombe o per il caldo.
Io lo seguivo tranquilla e guardavo i geroglifici. La mia fantasia si trastullava con molte immaginazioni e mi faceva vivere storie fantastiche su ció che poteva essere stato. Nel buio delle tombe, si muoveva un guardiano egizio, vestito in modo tradizionale, che fungeva da guardiano ma che cercava di guadagnare due soldi facendoci da guida.
Era difficile levarsi di torno un guardiano, era molto insistente anche quando gli si faceva capire che non ci serviva. A me faceva un po’ paura, cosa che a Jochen faceva ridere.
Ci spostammo da una tomba all’altra. Jochen sembrava insaziabile di geroglifici, mentre io dopo le prime tombe avevo voglia di luce.
Entrare nelle tombe mi dava uno strano imbarazzo, mi sembrava di entrare in casa di altri senza permesso.
Era mezzogiorno. Il sole splendeva alto nel cielo ed il caldo era torrido.
Avevamo concluso il giro ma Jochen aveva una nuova idea.
Mi disse:“vedi quel monte lassú? Dietro quel monte c’é un grande tempio che vorrei vedere, e passare da lì, sarebbe la strada piú breve per arrivarci’’.
Io non sapevo a che cosa sarei andata incontro, ma la sua insistenza mi portó a fare ció che voleva lui, come, a mio malgrado, spesso accadeva.
Facemmo una piccola pausa sotto il tetto di un chioschetto. Anelavo un poco di ombra.
Seduta su una panchina, mentre Jochen consultava il suo Reiseführer, mi guardai finalmente il panorama.
Una vasta valle di colore giallo pallido, con montagne da una lato e colline di sabbia dall’altra. In mezzo a questo, le tombe dei re,  riconosciute solo dalle loro entrate che da lontano sembravano dei buchi neri.  Piú avanti, sopra di loro, si elevava una catena di  montagne , precedute da piccole colline  ricoperte in parte da verdi cespugli. Il colore giallo sabbia del panorama, rifletteva la luce del sole come non avevo mai visto. Sembrava surreale. Vedevo delle persone camminare sul sentiero verso la prima collina, alcune sedevano sulla groppa di un asino, poi la strada girava dietro la montagna.
L’idea di camminare in salita con quel caldo non mi piaceva per niente e tantomeno sedermi sulla groppa di un asino, ma Jochen rimase inflessibile, voleva vedere il tempio. Lui non soffriva mai, né il caldo, né la sete, né la fame ecc. Io lo guardavo incredula.
Ci incamminammo.
Quando passammo la collina e il sentiero si fece piú erto, iniziai ad avere dei dubbi sulla riuscita della nostra scalata, perché iniziava ad essere  una vera e popria scalata .
Piccoli arbusti crescevano nei punti dove c’era ombra, cioé dove le rocce nascondevano il sole.Io vestivo una gonna rossa a fiori lunga fino alle caviglie ed una maglietta di cotone con le maniche lunghe, avevo in testa un cappellino di stoffa per proteggermi dal sole.La scalata mi aveva preso di sorpresa. Nel Reiseführer, avevo letto che le donne in egitto non possono mostrare le braccia e le gambe e sconsigliavanoo  il contatto visivo con un uomo. Cosí mi ero procurata anche un paio di occhiali da sole molto scuri.
Salire su  una montagna rocciosa con la gonna lunga era un problema. Restavo spesso impigliata negli arbusti o in qualche punta delle roccie che incontravo sul sentiero. Non di meno, avevo il terrore delle vipere e stavo sempre all’erta per il timore di vederne qualcuna. Jochen, camminava instancabile davanti a me.
Ogni tanto mi fermavo per guardarmi intorno. Vedevo la valle dei re sempre piú in basso. Le persone sembravano formichine e il panorama era sempre piú bello. Cielo azzurro, deserto e montagne dello stesso colore. Avrei voluto sedermi e lasciarmi cullare da quel panorama da sogno.
Si era alzato un po`di vento che, anche se caldo, rinfrescava un po’.
Ad un tratto il sentiero finì.  Jochen si fermò per pensare sul dafarsi.
Davanti a noi si ergeva un specie di muro di roccia, una rupe sulla quale crescevano qua e lá degli arbusti spinosi.
Jochen disse: „dobbiamo scalare  questa rupe e attraversare la roccia che si congiunge al plateau in alto. Lo vedi?’’ mi chiese. Io risposi titubante che si, lo vedevo, ma mi sembrava pericoloso. Jochen, che conosceva le montagne perchè da giovane aveva scalato, non voleva sentire le mie titubanze.
Proviamo, dissi.
Jochen partì deciso. Il vento era aumentato e la mia gonna rossa sventolava da una parte all’altra come una bandiera.
Mi arrampicai dietro a lui. Mi è sempre piaciuto arrampicare e per fortuna non soffro di vertigini.
Quando arrivai in cima alla rupe, Jochen stava già attraversando la roccia che portava al plateau. Mi fermai per guardare cosa ci fosse dopo la parete di roccia. Non vidi nulla. Guardai verso il basso , e vidi un precipizio da non veder il fondo. Il vento mi scompigliava i capelli e dovetti levare il cappello prima che volasse via.
Jochen, gattonando,aveva attravesato lo stretto passaggio che saliva al plateau e mi faceva cenno di continuare il percorso. Aveva portato con sè anche la mia borsa per rendermi più facile la traversata.
Davanti a me saliva una stretta roccia che dovevo superare, da una parte il precipizio e dall’altra parte uno strapiombo di alcuni metri poi,avevo il vento che mi faceva barcollare anche stando seduta.
Mi misi a carponi per iniziare la traversata mentre Jochen sbraitava: „non guardare giù, non guardare giù!’’
Avevo il terrore che le folate di vento mi facessero volare giù nel precipizio.
Ebbi pochi secondi di indecisione, ma bastarono perchè il destino mi venisse in aiuto. La mia pancia aveva già segnalato prudenza quando ad un tratto
sentii una voce gridare dal basso. Poi vidi qualcuno correre e gridare. Io guardai interdetta. Che cosa sarà successo? Dalla mia altezza non riuscivo a sentire chiaramente.
Le grida si avvicinavano sempre di più e dicevano, „Danger! Danger!’’
Non capivo chi fosse in pericolo fino a quando il giovane egiziano vestito di rosso non giunse ai piedi della rupe sulla quale stavo, per spiegarci che eravamo in pericolo. Io non capivo una parola, ma Danger lo conoscevo e lo dissi a Jochen. Lui  mi gridò di non badarci, e di continuare la mia traversata. Io stavo carponi su una stretta roccia che confinava con una precipizio, tirava un forte vento, Jochen, dal Plateau che mi gradava di sbrigarmi insultando l’intruso, l’egiziano da sotto che mi gridava ’danger, danger,’ e gesticolava con le mani per farmi scendere.
Io non sapevo che cosa fare. Le grida dei due uomini echeggiavano sopra la valle dei re, mentre io, accavallata su di una roccia, in balia del forte vento, dovevo decidere della mia vita.
Quando decisi di tornare indietro, Jochen ebbe quasi un infarto dalla rabbia. Mi accusò di ascoltare più l’egiziano che non lui. Io provai a difendermi dicendo che non ce la facevo e che avevo paura, ma lui la parola paura non la voleva sentire.
Iniziai a scalare la roccia sostenendomi con le mani e i piedi ai sassi sporgenti, l’egiziano faceva cenni di soddisfazione mentre Jochen, sulla via del ritorno, bestemmiava contro tutti.
Mentre scendevo lentamente dala rupe, facendo attenzione a non scivolare, il vento  soffiava sulla mia schiena  alzando e abbassando la mia gonna. Io ero terrorizzata perchè sotto di me, l’egiziano mi aspettava, mentre io facevo mostra del mio corpo, dalla vita in giú comprese le mutandine di pizzo nero. Cercavo con una mano di fermare la gonna, ma poi dovevo aggrapparmi alla roccia e la gonna continuava a volare. Che vergogna, mi dissi, ci mancava anche che  mostrassi il sedere a tutti. Non c’era nessuno oltre al giovane egiziano, ma il mio imbarazzo mi faceva sentire come fossi stata osservata da una enorme folla. Se penso a quello che consigliava il Reiseführer.... non mostrare gambe e braccia.
La discesa finalmente finì. Jochen ,non ancora rabbonito, trattò male l’egiziano che voleva accompagnarci non so dove.
Durante il ritorno alla valle dei re, dovetti sorbirmi tutto il malcontento di Jochen che mi rimproverò più volte per averlo deluso, ma io, sentendomi più sollevata che in colpa, non persi il buon umore e lo lasciai dire.

La speranza di ritornare all’albergo fu presto delusa quando Jochen, prendendo la via per un’altro sentiero mi annunciò che per colpa mia, ora dovevamo prendere  la strada più lunga per arrivare al tempio. L’egiziano continuava a seguirci da lontano.
Era un’ombra un po’ inquietante.
La notizia mi spaventò. Ero stanca, accaldata, affamata, non avevo più voglia di camminare con 40° all’ombra. Mi sedetti sulla sabbia e finsi un malore.
Jochen, più infastidito che preoccupato dovette cedere proponendo il tempio dei morti di Rames. Disse che era  molto interessante e che si trovava sulla strada di ritorno per Luxor.
Non seppi dire di no. Un Taxi ci portò al tempio di Rames.
Prima di visitare il tempio, ci sedemmo in una specie di trattoria coperta da una pergola di Buganvillea ed un giadino con palme, fiori, alberi di fico, agave alte altissime, una vera oasi nel mezzo del deserto.
Prendemmo da bere e ordinammo delle melanzane in umido. Sul menù, scritto in Inglese ed in tedesco, non c’era altro. Aspettammo più di un’ora, ma nessuno ci portava da mangiare. Jochen spazientito andò a chiedere e gli dissero che non avevano melanzane.
Chiedemmo delle patate fritte. Quelle le portarono, ma  Jochen  aveva ordinato le patatine solo per me e dovetti dividerle con lui.

Rimanemmo a lungo nel tempio di Rames . Jochen era così entusiasta che ci avrebbe passato anche la notte.
Io ammiravo le grandi colonne, pensavo al passato di questo paese e filosofavo fra me e me. Ogni tanto mi sedevo all’ombra di una colonna, il caldo era opprimente. Mi sentivo in un luogo magico. La vecchia cultura molto viva intorno a noi, il canto degli uccelli, il vento che muoveva a ritmo lento le palme e guardando oltre vedevo il deserto, immenso e misterioso.

Quando decidemmo di tornare a Luxor, Jochen propose di fare una camminata. Disse - un paio di chilometri non é poi troppo. Sulla strada cè ancora un tempio che vorrei vedere -. Io guardai la grande strada asfaltata sulla quale avremmo dovuto camminare. Asfalto e sole. - No, grazie - dissi.
-Per oggi ho visto abbastanza ed ora vorrei tornare con un Taxi -. Cammin facendo dovetti discutere a lungo per convince Jochen a fermare un Taxi.
Sulla strada non si vedevano macchine normali, solo Taxi. Passavano continuamente e ci facevano cenno di salire. Eravamo gli unici pedoni che camminavano su quell’asfalto bollente.
Finalmente Jochen si decise ad alzare un braccio per fermare un Taxi. Entrammo in un vecchio barcollante furgoncino, arredato come un salotto.
Ai lati c’erano delle panche sulle quali erano sparsi alcuni cuscini colorati. Il pavimento era coperto di tappeti. Il Taxi era pieno zeppo di persone. Trovammo posto schiacciandoci fra le dieci persone già sedute. Non mi fidavo ad alzare gli occhi da terra perchè temevo di incontrare occhi nemici. Avevo i capelli lunghi e sciolti. Questo in Egitto era proibito. Jochen scherzando, mi disse più volte di mettere un foular in testa per non destare antipatie. Non riuscii mai a sottomettermi a questa idea snaturata, che una donna debba nascondere i suoi capelli. Non è stata un’impresa facile, ma sono sopravissuta.
Tornammo all’albergo e finalmente ebbi il meritato riposo.
Sdraiata sul letto, fissavo  la rumorosa ventola appesa al soffitto. Gli avvenimenti di quei giorni, molto vivi nella mia memoria ,  mi preoccupavano.
Come sarebbe proseguito il nostro viaggio?
Guardai Jochen disteso accanto a me, non pareva preoccupato, stava dormendo.

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Graziella Torboli
Marzo 2015

sabato 21 marzo 2015

Buona Primavera


auguro a tutti noi un lieto germogliare di nuove  energie e felici pensieri !!!!!!!





giovedì 19 marzo 2015

contemporaneità



Menti confuse,
turbate da rumori assordanti,
effetti speciali,
abbagli.

Vissuto senza vissuto,
virtuali piaceri,
solitudine.

Corre la folla,
instancabile,
occhi che guardano,
occhi che non vedono.

Volti tristi,
affaticati,
senza parole,
senza sorriso.

Corre la folla,
verso luoghi sconosciuti,
mendica di conosciuto.

Un percorso senza meta,
senza obbiettivo,
senza amore.
Menti confuse.

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Graziella Torboli
marzo 2015

mercoledì 18 marzo 2015

ricordi d'infanzia


Un piccolo fiume


Piccolo fiume,
la mia casa ti dona un’argine,

ti guardo, seduta sul piccolo terrazzo,
sospeso in aria,

ti vedo scorrere, lucente e morbido,
odo lo scrosciare della tua cascatella,

mi incanta il tuo mormorio che pare musica,
tacion le altre voci, silenzio,

siamo soli, come sempre,
ti ascolto ma non so cosa dirti,
ti canteró una canzone.

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Graziella Torboli
Marzo 2015

sabato 14 marzo 2015

il tempo e la vita




Scultore instancabile, il tempo,
attento, inesorabile, spietato,
incide su di noi,
ogni attimo di vita,
senza tregua,
immagine ignuda,
senza menzogne,
di vita vissuta
o non vissuta.


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Graziella Torboli
Marzo 2015

martedì 10 marzo 2015

Gerard Athias



Le radici familiari della malattia

Ho letto questo libro che ho trovato molto interessante e nuovo per il suo pensiero.
Ne trascrivo un tratto che piú di tutto mi ha convinta e compiaciuta.

........È possibile accedere a una dimensione spirituale d’amore; ognuno puó effettuare questo „matrimonio interiore“, l’unione autentica e sincera del biologico con lo spirituale.
Per questo motivo ognuno di noi deve ritrovare le proprie responsabilitá, prendersi in mano il destino e realizzare la propria opera e non piú il cammino imposto inconsciamente dai genitori, che limita la nostra vera realizzazione. È  necessario recidere il nostro attaccamento biologico con il passato, trascendere la storia familiare, quella della nostra genealogia per divenire trans-parenti , nel senso di andare oltre i nostri genitori.
„ Amare non é dare, poiché ogni persona dá esclusivamente per se stessa.
Amare è arrivare a essere completamente tollerante e lasciare che l’altro si prenda tutto. Allora c’é Amore“.

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G. Torboli
Marzo 2015  


domenica 15 febbraio 2015

Domenica mattina





Da ieri piove dirotto.
Il ticchettare monotono, scrosciante e insistente della pioggia mi ha svegliata all’alba.
Dopo aver sorbito il mio amato caffè, ho fatto esercizi di matematica per due ore e mi sento molto soddisfatta.
Oggi non potrò fare lunghe passeggiate, non potrò lavorare in giardino, ma resteró in casa a cucire.
Sul mio tavolo, da giorni sono sparse stoffe, pizzi e merletti colorati che aspettano di diventare allegre borsette o sacchettini.
Ieri, mentre cucivo, ho ascoltato un CD di Liszt. Sonata in B minore.
Ho dovuto interrompere la sonata perché anche se era bella, mi stava rattristando troppo. Pioggia, nebbia, grigiore e musica triste, non sono il massimo dei piaceri.
Ho sostituito il CD di Liszt con uno di Chopin, di soli valzer.
Nell’ascoltarlo, mi pareva che il mondo si colorasse lentamente di rosa.
Non ci vuole molto per sentirsi meglio.

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Graziella Torboli
Febbr. 2015

domenica 8 febbraio 2015

abbaglio






Una folata di vento,
infocato,
impetuoso,
inatteso,
lampo accecante,
fulmine rovente,
sconvolge la quiete,
toglie il respiro,
giace ferito, abbandonato,
un cuore,
nel deserto amico..


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Graziella Torboli
8 febbr. 2015

venerdì 6 febbraio 2015

sulla diversità e sul cibo




Sono ritornata in Italia da cinque anni dopo essere vissuta in Germania per quarant’ anni.Il cambiamento è stato notevole, e nel frattempo, ho fatto una scoperta interessante e piacevole che ora vorrei raccontare.

La mia vita all’estero é iniziata negli anni 60, ho sposato un uomo tedesco e ho iniziato una nuova vita in un paese del quale non sapevo nulla.
Ero giovane, innamorata e sicura di mè.
L’ ambiente sociale e famigliare di mio marito divenne il mio. Creammo  cosí una numerosa famiglia e per tanti anni fui occupata ad accudirla.
Tuttavia non é di questo che voglio parlare, ma della mia posizione nella nuova societá e nella nuova cultura.                                      
Lungi da me, voler raccontare tutti li scontri sociali e culturali che ho vissuto, ma parzialmente é necessario.
Io non riuscii mai a sentirmi una di loro, anche se in veritá avevo fatto notevoli sforzi per diventarlo. In famiglia o in societá, non veniva persa nessuna occasione per farmi notare che ero straniera. Con il passare degli anni anche se la situazione non era cambiata, mi ero adeguata al sistema ed imparai bene la lingua tedesca.
Sentirsi diversi dagli altri, porta una sensazione di solitudine e di insicurezza, che non ci abbandona mai.
La mia posizione sociale, era paragonabile ad un punto P esterno che vuole entrare in un cerchio ma non ci riesce, nemmeno in forma tangente e rimane sempre fuori.
Avevo una bella famiglia, un bravo marito, un giro di amici e conoscenti, ma nonostante tutto rimanevo l’italiana, la mamma italiana.          
Ció che mi aiutó , senza che me ne rendessi conto, fu la fusione culturale che si formó dentro di me. La mia cultura e quella acquisita, diedero il meglio per farmi crescere.
Il punto di diversitá in questione e che vorrei menzionare é " il cibo".
Su questo punto le due culture si scontravano senza pietá e per questo non sono mai riuscita a trovare un consenso culinario soddisfacente. Durante i primi anni di matrimonio, cercavo di parlare di cucina con le conoscenti che abitavano vicino a me, la nuova cucina mi interessava e avrei voluto scambiare con loro delle nuove ricette. Invece niente di tutto questo. Dicevano di cucinare molto poco e ai loro bambini bastava una pasta o un riso in bianco.
Quello che le signore facevano molto bene erano le torte. Ne sfornavano di ogni forma e gusto. Io ero negata per fare dolci, ma poi, col tempo , imparai a farne alcuni con grande soddisfazione di mio marito che amava molto i dolci.
Un giorno una signora mi chiese come facevo ad addensare il sugo di pomodoro per la pasta perché lei ci metteva la farina bianca. Io rimasi sconcertata, questa non l’avevo mai sentita. Cosí rinunciai ad arricchire la mia cucina con nuove ricette, a parte una ricetta per la lepre in umido, che mi diede la cuoca di mia suocera. La lepre alla panna. Nella mia famiglia questa ricetta é diventata una tradizione.

Anche se a tutti piaceva il cibo che cucinavo o come lo cucinavo, l’allusione alla mia diversitá culturale non mancava mai.
Questo a volte mi faceva alquanto arrabbiare perché i loro commenti non erano benevoli, ma benevolmente discriminanti.
Mio marito non si comportava diversamente dagli altri e quando uscivamo insieme a cena o eravamo invitati, si dimostrava sempre molto imbarazzato e disturbato quando io criticavo le pietanze o rimandavo un piatto al cuoco del ristorante perché lo trovavo mal cucinato o perché ritenevo che l’insalata fosse floscia.
Mi chiamavano capricciosa ed intollerante.
Dentro di me pensavo „ ma perché non mi capiscono?“
Anche per mio marito ero l’ italiana che aveva le idee fisse sul cibo.
Devo ammettere che  era quasi riuscito a convincermi.

Sono tornata in Italia, ma non sono ancora „italiana“.  In paese mi chiamano „ la tedesca“ e non piú, „ l’italiana“, „ bella italia“o „mamma spaghetti“. „Non finirá mai“ mi dico.
In questi cinque anni mi sono riavvicinata alla mia cultura scoprendo di non essere piú sola.  Al supermercato, o nei negozi, mi sono sorpresa ad ascoltare le signore che mentre aspettavano al banco parlavano di ció che volevano cucinare o come lo cucinavano. Perfino le cassiere davano consigli in merito. Il tema Cibo, in Italia é  un tema  comune non una stravaganza.
Che sollievo ho provato  sentendomi come gli altri, non sentirmi  piú al posto sbagliato, non dover piú giustificare il modo di essere o di fare.
„Ho ritrovato i miei simili“ mi sono detta.
La mia cultura culinaria ha resistito per quaranta lunghi anni a critiche, sarcasmi e derisioni., ma ha tenuto testa a tutti.

Questo epilogo mi ricorda la storiella del“ brutto anatroccolo“ di Andersen. La conoscete?

L’uovo di un cigno cadde per errore nel nido covato da un’ anatra.
Quando i gusci si aprirono, l’anatra si accorse subito che uno dei suoi anatroccoli era diverso dagli altri. Nacque cosí non solo un „conflitto“ in famiglia ma anche di gruppo.
Le tante critiche e derisioni di tutte le altre anatre, che giornalmente l’anatra doveva subire per aver dato alla luce un anatroccolo diverso dagli altri, la portarono a espellere  il brutto anatroccolo dal suo gruppo.
Il brutto anatroccolo si trovó a vagare da solo in cerca di un amico.
Ne trovó alcuni ma non duravano a lungo. Il piccolo anatroccolo cercando di adattarsi alla loro vita, si metteva continuamente nei guai e venica scacciato perché sbagliava tutto.
Un giorno, si trovó davanti ad uno stagno dove nuotavano dei cigni.
Restó affascinato dalla loro bellezza e continuó a guardarli pensando: „anch’io vorrei essere come loro“.
Ad un tratto il suo sguardo si abbassó e vide la sua immagine nell’acqua.
Non la riconobbe subito, ma gli piacque molto. Poco dopo venne raggiunto dagli altri cigni che lo invitarono ad andare con loro.
Finalmente aveva trovato i suoi simili.
È un breve riassunto di una bellissima fiaba, ma mi é sembrata molto affine alla mia esperienza di vita.


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Graziella Torboli
febbraio 2015

venerdì 30 gennaio 2015

il tempo




Scorre il tempo
Avvolto di vita
vissuta
Fugge il tempo
Verso l’orizzonte
Infinito
Portando con sé
Il profumo della vita.


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Graziella Torboli
gennaio 2015

lunedì 26 gennaio 2015

sulla mediocritá




La mediocritá

Non é sufficiente ammettere, con pensieri o parole, la propria mediocritá illudendoci cosí di averla individuata.
È un dato di fatto, che in  tutti noi  ne alloggia  una parte di essa.
Quando discutiamo, ci lamentiamo o disprezziamo la mediocritá altrui , dimostriamo di riconoscerla.
Riconosciamo inconsapevolmente noi stessi negli altri.
Individuare ed accettare la propria mediocritá é un arduo atto di coraggio che ci porterá a trasformare una veritá esistente in un atto d’amore.


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Graziella Torboli
Genn. 2015




domenica 18 gennaio 2015

lo specchio




Ho scoperto di essere una persona normale. Sono un po' delusa perché avrei voluto scoprire in me della genialitá, delle idee nuove  e una vasta fantasia.
Ho scoperto che non sono nulla di tutto questo.
Sono normale e quasi banale, ma sono , „ io“.
Mi guardo allo specchio e vedo la nuda realtà. Niente oro, niente argento o pietre preziose.
Insisto a guardare la mia immagine per vedermi meglio, fisso lo specchio finché la mia immagine sparisce.
Il mio sguardo si volge verso l’ alto e vedo una collana di fiori rosa pendere dallo specchio.
Sulla parete , poco più in là, è appesa una piccola figura con un vestito  azzurro ornato di  conchiglie. „la fata dei mari“ mi era stato detto.
Alcune farfalle colorate sono appese quà e là. Un cuoricino di stoffa rossa, ricordo di un lontano amore, pende fra due minuscoli quadretti con dipinti dei fiori. Ancora due farfalle messe a caso.
Sui lati , del mobile bianco situato sotto lo specchio, due negretti di Murano reggono numerose collane.
Un porta orecchini a forma di cuore, di metallo bianco, fa mostra di colori e luccichii.
Un porta gioielli di quarzo rosa, stracolmo di braccialetti, non riesce piú a calare il coperchio e rimane sempre socchiuso.
Guardo il mobile bianco. Due porticine ai lati, ornate di vetri, il cassetto in alto,  i piccoli cassetti in basso chiusi da un’anta ornata da vetrini smerigliati. Mi piace molto questo mobile.
Torno a guardare nello specchio e non mi vedo piú.
Non vedo più un volto riflesso nello specchio, ma mille colori e piccole cose si rivelano ai miei occhi.

Sono le mille piccole cose ed i mille colori che portano il mio nome.

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Graziella Torboli
gennaio 2015

lunedì 5 gennaio 2015

Un paragone



     

Questa mattina mi ha salutato un giornata bellissima.
Cielo sereno, aria tiepida ed un sole splendente.
Un vero invito a fare una lunga passeggiata.
Come al solito, dopo essere uscita dal paese, ho camminato lungo un sentiero che attraversa la campagna. Una grande pianura con campi arati, alcuni dei quali giá verdi per il germoglio del grano. Tutto era silenzio. L’ aria profumava come in primavera. Guardavo i soliti alberi che giá conosco. Tutti spogli e grigi.
Ad un tratto, ammirando un grande vecchio albero ho notato una cosa che mi pareva insolita.
Il tronco possente dell’ albero, una Farnia, mostrava vari punti dove, durante la crescita, era stato reciso un ramo.
Erano dei piccoli cerchi con la circonferenza ingrossata ed evidentemente di vecchia data. Ció che mi ha sorpresa, era il fatto, che sotto o sopra, o da una parte, insomma, in  tutti  i cerchi crescevano dei ramoscelli, piú grossi in alto, piú sottili verso il basso.
Mi é sembrata una cosa insolita perché negli altri alberi non era cosí. Non é insolito notare la crescita di alcuni ramoscelli  dove é stato reciso un ramo, ma sul tronco della Farnia tutti i rami recisi ricrescevano.
Guardando l’albero ho pensato: questo albero dev’essere molto forte e determinato. Non puó evitare che vengano tagliati i suoi rami ma non per questo, desiste dal continuare a crescere come vuole lui.
Come mia consuetudine, ho pensato a noi, essere umani e mi é sorto un paragone.

Tutti noi,  durante la crescita abbiamo subito varie ferite, senza poterci difendere.
Cedere al dolore di una ferita é umano, ma lasciare che il dolore ci impedisca di crescere é inumano. 
    

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Graziella Torboli
4 gennaio 2015