venerdì 6 febbraio 2015

sulla diversità e sul cibo




Sono ritornata in Italia da cinque anni dopo essere vissuta in Germania per quarant’ anni.Il cambiamento è stato notevole, e nel frattempo, ho fatto una scoperta interessante e piacevole che ora vorrei raccontare.

La mia vita all’estero é iniziata negli anni 60, ho sposato un uomo tedesco e ho iniziato una nuova vita in un paese del quale non sapevo nulla.
Ero giovane, innamorata e sicura di mè.
L’ ambiente sociale e famigliare di mio marito divenne il mio. Creammo  cosí una numerosa famiglia e per tanti anni fui occupata ad accudirla.
Tuttavia non é di questo che voglio parlare, ma della mia posizione nella nuova societá e nella nuova cultura.                                      
Lungi da me, voler raccontare tutti li scontri sociali e culturali che ho vissuto, ma parzialmente é necessario.
Io non riuscii mai a sentirmi una di loro, anche se in veritá avevo fatto notevoli sforzi per diventarlo. In famiglia o in societá, non veniva persa nessuna occasione per farmi notare che ero straniera. Con il passare degli anni anche se la situazione non era cambiata, mi ero adeguata al sistema ed imparai bene la lingua tedesca.
Sentirsi diversi dagli altri, porta una sensazione di solitudine e di insicurezza, che non ci abbandona mai.
La mia posizione sociale, era paragonabile ad un punto P esterno che vuole entrare in un cerchio ma non ci riesce, nemmeno in forma tangente e rimane sempre fuori.
Avevo una bella famiglia, un bravo marito, un giro di amici e conoscenti, ma nonostante tutto rimanevo l’italiana, la mamma italiana.          
Ció che mi aiutó , senza che me ne rendessi conto, fu la fusione culturale che si formó dentro di me. La mia cultura e quella acquisita, diedero il meglio per farmi crescere.
Il punto di diversitá in questione e che vorrei menzionare é " il cibo".
Su questo punto le due culture si scontravano senza pietá e per questo non sono mai riuscita a trovare un consenso culinario soddisfacente. Durante i primi anni di matrimonio, cercavo di parlare di cucina con le conoscenti che abitavano vicino a me, la nuova cucina mi interessava e avrei voluto scambiare con loro delle nuove ricette. Invece niente di tutto questo. Dicevano di cucinare molto poco e ai loro bambini bastava una pasta o un riso in bianco.
Quello che le signore facevano molto bene erano le torte. Ne sfornavano di ogni forma e gusto. Io ero negata per fare dolci, ma poi, col tempo , imparai a farne alcuni con grande soddisfazione di mio marito che amava molto i dolci.
Un giorno una signora mi chiese come facevo ad addensare il sugo di pomodoro per la pasta perché lei ci metteva la farina bianca. Io rimasi sconcertata, questa non l’avevo mai sentita. Cosí rinunciai ad arricchire la mia cucina con nuove ricette, a parte una ricetta per la lepre in umido, che mi diede la cuoca di mia suocera. La lepre alla panna. Nella mia famiglia questa ricetta é diventata una tradizione.

Anche se a tutti piaceva il cibo che cucinavo o come lo cucinavo, l’allusione alla mia diversitá culturale non mancava mai.
Questo a volte mi faceva alquanto arrabbiare perché i loro commenti non erano benevoli, ma benevolmente discriminanti.
Mio marito non si comportava diversamente dagli altri e quando uscivamo insieme a cena o eravamo invitati, si dimostrava sempre molto imbarazzato e disturbato quando io criticavo le pietanze o rimandavo un piatto al cuoco del ristorante perché lo trovavo mal cucinato o perché ritenevo che l’insalata fosse floscia.
Mi chiamavano capricciosa ed intollerante.
Dentro di me pensavo „ ma perché non mi capiscono?“
Anche per mio marito ero l’ italiana che aveva le idee fisse sul cibo.
Devo ammettere che  era quasi riuscito a convincermi.

Sono tornata in Italia, ma non sono ancora „italiana“.  In paese mi chiamano „ la tedesca“ e non piú, „ l’italiana“, „ bella italia“o „mamma spaghetti“. „Non finirá mai“ mi dico.
In questi cinque anni mi sono riavvicinata alla mia cultura scoprendo di non essere piú sola.  Al supermercato, o nei negozi, mi sono sorpresa ad ascoltare le signore che mentre aspettavano al banco parlavano di ció che volevano cucinare o come lo cucinavano. Perfino le cassiere davano consigli in merito. Il tema Cibo, in Italia é  un tema  comune non una stravaganza.
Che sollievo ho provato  sentendomi come gli altri, non sentirmi  piú al posto sbagliato, non dover piú giustificare il modo di essere o di fare.
„Ho ritrovato i miei simili“ mi sono detta.
La mia cultura culinaria ha resistito per quaranta lunghi anni a critiche, sarcasmi e derisioni., ma ha tenuto testa a tutti.

Questo epilogo mi ricorda la storiella del“ brutto anatroccolo“ di Andersen. La conoscete?

L’uovo di un cigno cadde per errore nel nido covato da un’ anatra.
Quando i gusci si aprirono, l’anatra si accorse subito che uno dei suoi anatroccoli era diverso dagli altri. Nacque cosí non solo un „conflitto“ in famiglia ma anche di gruppo.
Le tante critiche e derisioni di tutte le altre anatre, che giornalmente l’anatra doveva subire per aver dato alla luce un anatroccolo diverso dagli altri, la portarono a espellere  il brutto anatroccolo dal suo gruppo.
Il brutto anatroccolo si trovó a vagare da solo in cerca di un amico.
Ne trovó alcuni ma non duravano a lungo. Il piccolo anatroccolo cercando di adattarsi alla loro vita, si metteva continuamente nei guai e venica scacciato perché sbagliava tutto.
Un giorno, si trovó davanti ad uno stagno dove nuotavano dei cigni.
Restó affascinato dalla loro bellezza e continuó a guardarli pensando: „anch’io vorrei essere come loro“.
Ad un tratto il suo sguardo si abbassó e vide la sua immagine nell’acqua.
Non la riconobbe subito, ma gli piacque molto. Poco dopo venne raggiunto dagli altri cigni che lo invitarono ad andare con loro.
Finalmente aveva trovato i suoi simili.
È un breve riassunto di una bellissima fiaba, ma mi é sembrata molto affine alla mia esperienza di vita.


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Graziella Torboli
febbraio 2015

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