voglia di ballare
Io penso, che la mia voglia
di ballare sia nata con me.
Ancora in culla, raccontava
mia madre, le mie gambette non stavano mai ferme e lo strisciare con i piedini
sul lenzuolo, giá all’eta di tre mesi, provocava i buchi nelle pantoffoline, che mia madre
amorosamente lavorava a maglia.. Sembrava che battessi ininterrottamente il
ritmo che sentivo dentro di me. Questa é una mia supposizione, ma da allora la
voglia di ballare é cresciuta inconsciamente con me.
Quando ero bambina non
esisteva una scuola di danza nel mio paese e anche se fosse esistita, mia madre
non mi avrebbe mai permesso di
frequentarla. Per la veritá, non
mi passó mai per la mente di imparare a ballare. La mia voglia di ballare non
venne mai meno, la tenevo dentro di me
in forma latente ma non senza esserne affascinata. Passai l’infanzia e
l’adolescenza ad arrampicarmi sugli alberi e sui tetti, correndo senza sosta e
con disperazione di mia madre, strappavo ogni vestito che mi comperava. Non lo
facevo apposta, ma mi succedeva.
L’arrivo del circo era per
me, l’evento dell’anno e si accampava proprio sul campo davanti a casa mia. Mi
piaceva tanto il circo. Ammiravo gli artisti che facevano esercizi spericolati,
gli animali addomesticati e addobbati con piume e lustrini. Per non non parlare poi delle
danzatrici, che sembrava volassero, avvolte nei loro vestiti fatti di nastri e veli.
Andavo a vederlo con i miei
genitori, ma il ricordo di ció che avevo visto mi rimaneva nella mente e lo
potevo rivivere la sera, quando dal mio letto sentivo la musica e la voce del
presentatore.
Mia madre ci aveva proibito
di avvicinarci al circo o ai carrozzoni. Obbedire mi era impossibile, infatti
andai a curiosare. Questa disobbedienza mi portó un piccolo premio, perche in
quell’occasione feci la conoscenza di una bambina del circo che aveva la mia
etá e che partecipava, mi disse, con un suo numero di ballo allo spettacolo. A
questa notizia rimasi senza parole, ma la guardai come fosse una grande diva. Lei mi invitó nel suo carozzone, mi sembró
di entrare in una reggia. Mi disse che era ora per la sua merenda e ci sedemmo
ad un tavolino sul quale sua madre aveva preparato dei biscotti ripieni di
marmellata. Non avevo mai mangiato una cosa cosí buona, fu una merenda
indimenticabile. Sebbene fossimo di famiglia agiata, l’educazione spartana
di mia madre non ci concedeva dolcetti e leccornie. Non ero nell’etá dove si
facevano confronti e pensai che se quella bambina veniva trattata cosí bene,
era perché lei ballava e questo la rendeva speciale.
Il ballo era dentro di me ed
io lo vivevo a modo mio, ballando ovunque mi trovavo, come sentissi sempre un
ritmo.
All’etá di dieci anni, la
scuola che frequentavo, organizzó uno spettacolo con due classi. Una era la
mia. Dovevamo cantare delle canzoni e....ballare. Non ho parole per descrivere
la mia felicitá. Devo ammettere che mi piaceva molto anche cantare che
peraltro, facevo senza sosta.
Facemmo alcune prove nel
teatro del paese.
La vista del teatro, che non
avevo mai visto prima, mi fece ammutolire e i miei occhi cercavano di vedere
ovunque. Il teatro era vuoto e un
po buio. Potevo vedere la platea con tante poltroncine ricoperte di velluto
rosso e piú in alto, nonostante la poca luce, due piani di palchetti che sembravano delle piccole alcove.
Un sogno.
Camminando sul pavimento
scricchiolante del palcoscenico mi sembrava di camminare sulle nuvole. Venni
ripresa piú volte dal maestro, perché ero distratta. Ma come faceva il
poveretto e immaginare la mia emozione?
E venne il giorno del
debutto.
La mia agitazione era grande
e come sempre , quando ero agitata, mi sfogavo saltando, correndo e cantando.
Per mia sfortuna, giocando con i miei fratelli, saltai su una catasta di assi e
mi si infiló un chiodo in mezzo al piede. Dovetti essere medicata e con un
piede infortunato il mio debutto andó in fumo. Quella fu la mia prima ed unica
occasione di esibirmi sul palcoscenico. La mia delusione fu molto grande e
lasció in me un ricordo amaro e indimenticabile.
La mia passione per il ballo
la proiettai su mia sorella piú giovane; Livia.
Livia era una bambina
silenziosa e tranquilla, e stava sempre per conto suo. Era dotata di un grande
talento musicale e suonava ogni strumento musicale le capitasse in mano. Anni
dopo studió musica. Il fatto che anche a lei piacesse ballare mi diede l’idea
di cucirle un vestito da ballerina. A modo mio riuscii a cucire un tutu bianco
che ricavai da un vecchio
lenzuolo. A lei piaque molto e anche a me. Poi misi sul giradischi un Tango e
lei inizió a ballare. Ballava cosí bene che mi sentii tutta emozionata. La
sera, Livia diede spettacolo per tutta la famiglia e tutti si divertirono.
Questa ed altre piccole cose
successero, il ballo mi accompagnava e se non potevo ballare io, facevo ballare
gli altri.
Il sogno di ballare stava ben
protetto in fondo al mio cuore perché nella mia vita non c’era modo di
esaudirlo.
Ero la primogenita di sette
figli, quattro femmine e tre maschi. Mio padre era commerciante e lavorava
sempre, in casa e fuori. Mia madre si occupava di lui e dell’uffucio, ma di
noi, molto meno. Mi educó al lavoro a all’obbedienza. Cosí feci.
Passarono gli anni.
Successero molte cose, ma niente poté distogliermi dalla voglia di ballare e di
far ballare gli altri.
Mio padre, oltre ad essere
un commerciante, era anche un ballerino. In gioventú aveva ballato in coppia,
con successo, con sua sorella, Insegnó a ballare a mia madre e insieme non
persero occasione per partecipare a tali eventi.
Quando si preparavano per
uscire e mia madre indossava uno dei suoi stupendi vestiti da sera, io la
guardavo con occhi sognanti e mi pareva la donna piú bella del mondo. Mio
padre, con il suo smoking bianco e lo sguardo da latin lover, lo trovavo
irresistibile.
Fu proprio questo padre
„latin lover“ che alcuni anni dopo, quando compii i 18 anni, mi insegnó a
ballare. Il ricordo dei miei diciotto anni? Tante lacrime versate per un’amore
contestato e il primo vestito da ballo in pizzo rosso cucito dalla sarta di mia
madre.
Partecipai con i miei
genitori ad alcuni eventi serali e mio padre mi fece ballare, e mi insegnó come
lasciarmi guidare dal partner.. Non ebbi bisogno di molte lezioni perché come
ho giá detto, ballare era la mia passione. A tempo di musica i miei piedi si
muovevano da soli.
A questo punto subentró
l’educazione spartana di mia madre.
Al mio paese esisteva un
unico locale da ballo che apriva il sabato sera. Non c’erano ancora le
discoteche e il locale chiudeva all’una di notte. Mi venne proibito di
frequentare da sola o con delle amiche quel locale. Gli amici maschi erano tabú.
Cercai invano delle
scappatoie.
Un’anno piú tardi, con mia
sorella Livia in etá raggiunta, trovai la dovuta complice per escogitare
trucchi e trappole per poter andare a ballare.
Uscire di sera da casa
nostra, inosservate, era quasi impossibile.
Prendemmo di mira una
finestra che dava sulle scale esterne e non era troppo alta per il salto che dovevamo fare. Eravamo molto agili.
Aspettavamo che i genitori uscissero, che il guardiano non ci fosse, che i
fratelli dormissero, e poi via. Al
ritorno, avevamo la difficoltá di risalire in camera. ma insieme ci aiutavamo.
Quanta adrenalina.!
Mi si chiede se venimmo
scoperte? Ma certo! Qualcuno aveva fatto la spia, prima o poi doveva succedere.
Di conseguenza, mi ritrovai
a trascorrere le serate del sabato sera con i gomiti appoggiati al davanzale
della finestra di camera mia, ad ascoltare la musica che veniva da fuori, a
guardare il cielo stellato ed a fantasticare sull’ombra della grande montagna
che si ergeva davanti al paese.
Passó il tempo. Arrivó il giorno che mi vide sposare
l’uomo della mia vita.
Mi trasferii con lui
all’estero, in Germania, molto lontana dalla mia famiglia.
Purtroppo l’uomo della mia
vita non sapeva ballare. Era proprio negato. Ballava contando uno..due..tre..
per stare al ritmo. Ballare con
lui era per me una vera sofferenza.
Ricordo di una festa da
ballo con gli amici di mio marito. Eravamo seduti insieme e tutti parlavano e
discutevano, mentre l’orchestra ci regalava una stupenda musica da ballo. Io
stavo seduta, zitta, e aspettavo che mio marito si decidesse a farmi ballare.
Purtroppo, nonostante la mia impazienza, lui non si lasció scomporre. La
sofferenza che provavo mi fece venir voglia di piangere ma dovetti ingoiare le
lacrime per non rovinarmi il trucco. Quella sera ero cosí adirata che per la
prima volta pensai di rinunciare a partecipare con lui ad altre feste da ballo.
Un giorno vennero a trovarci
i miei genitori.
La sera andammo tutti
insieme a ballare. Senza indugio chiesi a mio padre di farmi ballare. Non
vedevo l’ora di volteggiare. Mio marito si ingelosí e mi portó il broncio per
vari giorni, ma non riuscí a farmi sentire in colpa.
I primi quindici anni anni
di matrimonio li trascorsi con pochi balli e molte gravidanze. Ebbi sette
figli, cinque femmine e due maschi.
La mia vita di madre fu
stupenda.
Quando la mia figlia
maggiore compí sei anni, la portai
a scuola di danza. Man mano che gli altri crescevano portavo anche loro. Tutti
i miei figli hanno fatto danza per circa dieci anni. Tutto sommato, per quattordici
anni li ho portati due volte la settimana a ballare. Ho trascorso innumerevoli
pomeriggi nello spogliatoio della scuola lavorando a maglia, leggendo o
conversando con altre madri. Ma nulla poteva distrarmi dal piacere di ascoltare
le note del pianoforte che risuonavano dalla stanza adiacente e il tocco dei
piedini che battevano il ritmo. Quei pomeriggi mi facevano sognare.
Mi capitó l’occasione di
cantare in un coro. Cosa nuova per me. Era il coro della chiesa della mia
cittá. Cantai in questo coro per dieci anni. Ebbi modo di conoscere da vicino
la musica classica e questo mi piaque molto. Presi anche lezioni di canto per
migliorare la mia voce.
Quando mi venne proposto di
cantare in un coro italiano non esitai un attimo.
Cantai nel coro italiano per
altri dieci anni. Cantavamo canzoni di montagna, di guerra e canzoni
napoletane. Folclore italiano.
Il direttore del coro
(Sandro), un maestro di musica con una voce stupenda, cantava da solista.
Quando cantava, mi incantavo ad ascoltarlo, sentivo la sua voce in tutto
il corpo e gli occhi mi si
riempivano di lacrime. Era veramente emozionante.
Quando scoprii che era anche
un ballerino per poco non me ne innamorai.
Ebbi modo di scoprirlo
quando ad una festa del coro lui mi invitó a ballare. Credevo di sognare. Ballava
come un dio ed io volteggiavo con lui come mi fossero spuntate le ali. Da bravo cavaliere si complimentó con
me dicendo che ero una gran ballerina. Non perdemmo mai un’occasione per
ballare insieme anche se le occasioni non capitavano spesso.
Non ricordo, oltre a mio
padre e a Sandro, di aver incontrato altri uomini che amassero ballare. Molto
pochi, direi.
Trascorsi gli anni ad accudire la famiglia ed a
organizzare feste di compleanno per i miei figli. Compleanni per i piccoli e
per i grandi. Al centro troneggiava sempre la musica. Prima c’erano i giochi,
poi si mangiava e poi si ballava fino alla fine. Tutti si divertivano e io con
loro. I miei figli piú grandi avevano amici che studiavano musica e spesso la
sera, venivano a trovarci e improvvisavano dei concerti. Erano serate stupende.
Loro suonavano e noi ballavamo.
Ho trascorso la vita
rincorrendo un sogno e cercando di trasmettere questo sogno ad altri. Un sogno
che mi venne proibito, impedito, soffocato ma che non ha mai cessato di pulsare
dentro il mio cuore.
Ancora oggi che sono nonna
di vari nipoti, mi invade la voglia di ballare.
Ora vivo sola, i miei figli
abitano tutti lontano da me, peró ci amiamo molto.
Quando sento la voglia di
ballare, metto un CD di valzer di
Strauss nel giradischi e prendo a volteggiare dalla cucina al salotto con
grande felicitá e soddisfazione.
PS. Gli anni passano ma i sogni restano.
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Graziella Torboli
Settembre 2017