venerdì 22 settembre 2017

voglia di ballare



voglia di ballare

Io penso, che la mia voglia di ballare sia nata con me.
Ancora in culla, raccontava mia madre, le mie gambette non stavano mai ferme e lo strisciare con i piedini sul lenzuolo, giá all’eta di tre mesi, provocava i buchi nelle  pantoffoline, che mia madre amorosamente lavorava a maglia.. Sembrava che battessi ininterrottamente il ritmo che sentivo dentro di me. Questa é una mia supposizione, ma da allora la voglia di ballare é cresciuta inconsciamente con me.
Quando ero bambina non esisteva una scuola di danza nel mio paese e anche se fosse esistita, mia madre non mi  avrebbe mai permesso di frequentarla.  Per la veritá, non mi passó mai per la mente di imparare a ballare. La mia voglia di ballare non venne mai meno, la tenevo dentro di me  in forma latente ma non senza esserne affascinata. Passai l’infanzia e l’adolescenza ad arrampicarmi sugli alberi e sui tetti, correndo senza sosta e con disperazione di mia madre, strappavo ogni vestito che mi comperava. Non lo facevo apposta, ma mi succedeva.
L’arrivo del circo era per me, l’evento dell’anno e si accampava proprio sul campo davanti a casa mia. Mi piaceva tanto il circo. Ammiravo gli artisti che facevano esercizi spericolati, gli animali addomesticati e addobbati con piume e lustrini.  Per non non parlare poi delle danzatrici, che sembrava volassero, avvolte nei  loro vestiti fatti di nastri e veli.
Andavo a vederlo con i miei genitori, ma il ricordo di ció che avevo visto mi rimaneva nella mente e lo potevo rivivere la sera, quando dal mio letto sentivo la musica e la voce del presentatore.
Mia madre ci aveva proibito di avvicinarci al circo o ai carrozzoni. Obbedire mi era impossibile, infatti andai a curiosare. Questa disobbedienza mi portó un piccolo premio, perche in quell’occasione feci la conoscenza di una bambina del circo che aveva la mia etá e che partecipava, mi disse, con un suo numero di ballo allo spettacolo. A questa notizia rimasi senza parole, ma la guardai come fosse una grande diva.  Lei mi invitó nel suo carozzone, mi sembró di entrare in una reggia. Mi disse che era ora per la sua merenda e ci sedemmo ad un tavolino sul quale sua madre aveva preparato dei biscotti ripieni di marmellata. Non avevo mai mangiato una cosa cosí buona, fu una merenda indimenticabile. Sebbene fossimo di famiglia agiata, l’educazione spartana di mia madre non ci concedeva dolcetti e leccornie. Non ero nell’etá dove si facevano confronti e pensai che se quella bambina veniva trattata cosí bene, era perché lei ballava e questo la rendeva speciale.
Il ballo era dentro di me ed io lo vivevo a modo mio, ballando ovunque mi trovavo, come sentissi sempre un ritmo.
All’etá di dieci anni, la scuola che frequentavo, organizzó uno spettacolo con due classi. Una era la mia. Dovevamo cantare delle canzoni e....ballare. Non ho parole per descrivere la mia felicitá. Devo ammettere che mi piaceva molto anche cantare che peraltro, facevo senza sosta.
Facemmo alcune prove nel teatro del paese. 
La vista del teatro, che non avevo mai visto prima, mi fece ammutolire e i miei occhi cercavano di vedere ovunque. Il teatro era vuoto  e un po buio. Potevo vedere la platea con tante poltroncine ricoperte di velluto rosso e piú in alto, nonostante la poca luce,  due piani di palchetti che sembravano delle piccole alcove. Un sogno.
Camminando sul pavimento scricchiolante del palcoscenico mi sembrava di camminare sulle nuvole. Venni ripresa piú volte dal maestro, perché ero distratta. Ma come faceva il poveretto e immaginare la mia emozione?
E venne il giorno del debutto.
La mia agitazione era grande e come sempre , quando ero agitata, mi sfogavo saltando, correndo e cantando. Per mia sfortuna, giocando con i miei fratelli, saltai su una catasta di assi e mi si infiló un chiodo in mezzo al piede. Dovetti essere medicata e con un piede infortunato il mio debutto andó in fumo. Quella fu la mia prima ed unica occasione di esibirmi sul palcoscenico. La mia delusione fu molto grande e lasció in me un ricordo amaro e indimenticabile.
La mia passione per il ballo la proiettai su mia sorella piú giovane; Livia.
Livia era una bambina silenziosa e tranquilla, e stava sempre per conto suo. Era dotata di un grande talento musicale e suonava ogni strumento musicale le capitasse in mano. Anni dopo studió musica. Il fatto che anche a lei piacesse ballare mi diede l’idea di cucirle un vestito da ballerina. A modo mio riuscii a cucire un tutu bianco che  ricavai da un vecchio lenzuolo. A lei piaque molto e anche a me. Poi misi sul giradischi un Tango e lei inizió a ballare. Ballava cosí bene che mi sentii tutta emozionata. La sera, Livia diede spettacolo per tutta la famiglia e tutti si divertirono.
Questa ed altre piccole cose successero, il ballo mi accompagnava e se non potevo ballare io, facevo ballare gli altri.
Il sogno di ballare stava ben protetto in fondo al mio cuore perché nella mia vita non c’era modo di esaudirlo.
Ero la primogenita di sette figli, quattro femmine e tre maschi. Mio padre era commerciante e lavorava sempre, in casa e fuori. Mia madre si occupava di lui e dell’uffucio, ma di noi, molto meno. Mi educó al lavoro a all’obbedienza. Cosí feci.
Passarono gli anni. Successero molte cose, ma niente poté distogliermi dalla voglia di ballare e di far ballare gli altri.
Mio padre, oltre ad essere un commerciante, era anche un ballerino. In gioventú aveva ballato in coppia, con successo, con sua sorella, Insegnó a ballare a mia madre e insieme non persero occasione per partecipare a tali eventi.
Quando si preparavano per uscire e mia madre indossava uno dei suoi stupendi vestiti da sera, io la guardavo con occhi sognanti e mi pareva la donna piú bella del mondo. Mio padre, con il suo smoking bianco e lo sguardo da latin lover, lo trovavo irresistibile.
Fu proprio questo padre „latin lover“ che alcuni anni dopo, quando compii i 18 anni, mi insegnó a ballare. Il ricordo dei miei diciotto anni? Tante lacrime versate per un’amore contestato e il primo vestito da ballo in pizzo rosso cucito dalla sarta di mia madre.
Partecipai con i miei genitori ad alcuni eventi serali e mio padre mi fece ballare, e mi insegnó come lasciarmi guidare dal partner.. Non ebbi bisogno di molte lezioni perché come ho giá detto, ballare era la mia passione. A tempo di musica i miei piedi si muovevano da soli.

A questo punto subentró l’educazione spartana di mia madre.
Al mio paese esisteva un unico locale da ballo che apriva il sabato sera. Non c’erano ancora le discoteche e il locale chiudeva all’una di notte. Mi venne proibito di frequentare da sola o con delle amiche quel locale. Gli amici maschi erano tabú.
Cercai invano delle scappatoie.
Un’anno piú tardi, con mia sorella Livia in etá raggiunta, trovai la dovuta complice per escogitare trucchi e trappole per poter andare a ballare.
Uscire di sera da casa nostra, inosservate, era quasi impossibile.
Prendemmo di mira una finestra che dava sulle scale esterne e non era troppo alta per il salto  che dovevamo fare. Eravamo molto agili. Aspettavamo che i genitori uscissero, che il guardiano non ci fosse, che i fratelli dormissero, e poi via.  Al ritorno, avevamo la difficoltá di risalire in camera. ma insieme ci aiutavamo. Quanta adrenalina.!
Mi si chiede se venimmo scoperte? Ma certo! Qualcuno aveva fatto la spia, prima o poi doveva succedere.
Di conseguenza, mi ritrovai a trascorrere le serate del sabato sera con i gomiti appoggiati al davanzale della finestra di camera mia, ad ascoltare la musica che veniva da fuori, a guardare il cielo stellato ed a fantasticare sull’ombra della grande montagna che si ergeva davanti al paese.
Passó il tempo.  Arrivó il giorno che mi vide sposare l’uomo della mia vita.
Mi trasferii con lui all’estero, in Germania, molto lontana dalla mia famiglia.
Purtroppo l’uomo della mia vita non sapeva ballare. Era proprio negato. Ballava contando uno..due..tre.. per stare al  ritmo. Ballare con lui era per me una vera sofferenza.
Ricordo di una festa da ballo con gli amici di mio marito. Eravamo seduti insieme e tutti parlavano e discutevano, mentre l’orchestra ci regalava una stupenda musica da ballo. Io stavo seduta, zitta, e aspettavo che mio marito si decidesse a farmi ballare. Purtroppo, nonostante la mia impazienza, lui non si lasció scomporre. La sofferenza che provavo mi fece venir voglia di piangere ma dovetti ingoiare le lacrime per non rovinarmi il trucco. Quella sera ero cosí adirata che per la prima volta pensai di rinunciare a partecipare con lui ad altre feste da ballo.

Un giorno vennero a trovarci i miei genitori.
La sera andammo tutti insieme a ballare. Senza indugio chiesi a mio padre di farmi ballare. Non vedevo l’ora di volteggiare. Mio marito si ingelosí e mi portó il broncio per vari giorni, ma non riuscí a farmi sentire in colpa.

I primi quindici anni anni di matrimonio li trascorsi con pochi balli e molte gravidanze. Ebbi sette figli, cinque femmine e due maschi.
La mia vita di madre fu stupenda.
Quando la mia figlia maggiore compí  sei anni, la portai a scuola di danza. Man mano che gli altri crescevano portavo anche loro. Tutti i miei figli hanno fatto danza per circa dieci anni. Tutto sommato, per quattordici anni li ho portati due volte la settimana a ballare. Ho trascorso innumerevoli pomeriggi nello spogliatoio della scuola lavorando a maglia, leggendo o conversando con altre madri. Ma nulla poteva distrarmi dal piacere di ascoltare le note del pianoforte che risuonavano dalla stanza adiacente e il tocco dei piedini che battevano il ritmo. Quei pomeriggi mi facevano sognare.
Mi capitó l’occasione di cantare in un coro. Cosa nuova per me. Era il coro della chiesa della mia cittá. Cantai in questo coro per dieci anni. Ebbi modo di conoscere da vicino la musica classica e questo mi piaque molto. Presi anche lezioni di canto per migliorare la mia voce.
Quando mi venne proposto di cantare in un coro italiano non esitai un attimo.
Cantai nel coro italiano per altri dieci anni. Cantavamo canzoni di montagna, di guerra e canzoni napoletane. Folclore italiano.
Il direttore del coro (Sandro), un maestro di musica con una voce stupenda, cantava da solista. Quando cantava, mi incantavo ad ascoltarlo, sentivo la sua voce in tutto il  corpo e gli occhi mi si riempivano di lacrime. Era veramente emozionante.
Quando scoprii che era anche un ballerino per poco non me ne innamorai.
Ebbi modo di scoprirlo quando ad una festa del coro lui mi invitó a ballare. Credevo di sognare. Ballava come un dio ed io volteggiavo con lui come mi fossero spuntate le ali.  Da bravo cavaliere si complimentó con me dicendo che ero una gran ballerina. Non perdemmo mai un’occasione per ballare insieme anche se le occasioni non capitavano spesso.
Non ricordo, oltre a mio padre e a Sandro, di aver incontrato altri uomini che amassero ballare. Molto pochi, direi.
Trascorsi gli anni  ad accudire la famiglia ed a organizzare feste di compleanno per i miei figli. Compleanni per i piccoli e per i grandi. Al centro troneggiava sempre la musica. Prima c’erano i giochi, poi si mangiava e poi si ballava fino alla fine. Tutti si divertivano e io con loro. I miei figli piú grandi avevano amici che studiavano musica e spesso la sera, venivano a trovarci e improvvisavano dei concerti. Erano serate stupende. Loro suonavano e noi ballavamo.

Ho trascorso la vita rincorrendo un sogno e cercando di trasmettere questo sogno ad altri. Un sogno che mi venne proibito, impedito, soffocato ma che non ha mai cessato di pulsare dentro il mio cuore.
Ancora oggi che sono nonna di vari nipoti, mi invade la voglia di ballare.
Ora vivo sola, i miei figli abitano tutti lontano da me, peró ci amiamo molto.
Quando sento la voglia di ballare, metto un CD di valzer  di Strauss nel giradischi e prendo a volteggiare dalla cucina al salotto con grande felicitá e soddisfazione.

  
PS. Gli anni passano ma i sogni restano.

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Graziella Torboli

Settembre 2017



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