sabato 14 dicembre 2019

Auguri 2019

Buon Natale e Buon Anno a chi conosco e a chi non conosco. AUGURI AUGURI AUGURI!!!!!!!!!!!!

Graziella Torboli - Dic. 2019

giovedì 7 novembre 2019

sogno d'amore



Sogno d’amore


Torni dal passato
silenzioso e lieve
su raggi di luna

nella notte amica
Cerchi il mio sonno,
nei miei sogni , vivi.

Lasci scorrere
L’amore
Che tenevi occulto
In cuore,

il tuo sguardo
luminoso
parla piú delle parole,

e mi avvolge
in grande gioia,
come il sorger
dell’aurora.

°°°°°

Graziella Torboli

nov. 2019




sabato 21 settembre 2019

pensiero sul rancore



Pensiero sul rancore

Il rancore vive del passato ma agisce nel presente.
È un’ombra funesta che oscura le percezioni e le emozioni che si vivono, e questo condizionamento si rivolta verso noi stessi.
Nella nostra memoria c´é tutto ció che abbiamo vissuto ed é umano ricordare gioie e dolori.
Portare rancore a qualcuno per i torti o le ferite subite non ci aiuta, ma ci incita a nutrire una sofferenza senza fine.
Il rancore é una forma di cecitá per la quale non esistono occhiali o cure mediche. Dipende solo da noi,  permettere  alla luce dell’anima di affievolirsi, impedendoci cosí di vedere e godere il presente, per quello che é.


°°°°°

Graziella Torboli
20 sett. 2019

giovedì 5 settembre 2019

sulla diffidenza



Sulla diffidenza    

Mondo grigio,
avvolto nella nebbia,
sguardi ambigui,

ombre vaganti
a capo chino,
come un campo
di girasoli secchi.

Triste la vita,
senza luce la vita,
senza fiducia i cuori,
ma credono di vivere.


°°°°°

Graziella Torboli
settembre 2019

mercoledì 17 luglio 2019

il viaggio a Roma



Una storiella realmente accaduta


Il viaggio a Roma


Il giorno del suo sessantesimo compleanno, John si ripromise di fare un viaggio. Da tanti anni portava in cuore e nella mente un desiderio ed era quello di andare a Roma. Voleva vedere la cittá eterna ( come si suol dire).
John non si era mai sposato. Viveva solo, in una villetta con giardino adiacente, che lui curava con grande passione.. Lavorava come contabile in un ufficio notarile, e la sua vita era fatta di piccole abitudini e di continuita´. Era una persona tranquilla e i suoi vicini lo stimavano. Non aveva molti amici, ma il sabato sera si trovava sempre al Pub con dei colleghi. John era nato e cresciuto a Brampton, una cittadina inglese, situato in una valle circondata da verdi colline.
Lui amava la sua cittá  e a parte un paio di viaggi a Londra o a Newcastle, non aveva mai sentito il desiderio di viaggiare poiché Brampton era il suo paese ideale e ci viveva bene.
Il sogno segreto, che portava in se da molti anni, era quello di andare a Roma. Tale sogno non lo aveva mai svelato a nessuno. Un sogno é un sogno, che
al suo sessantesimo compleanno decise di realizzare - o adesso o mai piú- si disse John. Non sono ancora troppo vecchio per intraprendere un lungo viaggio.-
Per delle settimane non fece che leggere opuscoli di cittá e carte stradali per organizzare il suo viaggio. Era una persona molto precisa e coscienziosa.
Tutti i vicini avevano appreso di questo suo viaggio e lui non poteva fare un passo fuori casa senza incontrare qualcuno che li chiedeva questo o quello o che li augurava buona viaggio. Tutti curiosi - si diceva John ridendo. Tuttavia si divertiva ad essere al centro dell’attenzione del paese.
Dopo aver fatto ispezionare la sua macchina e organizzato per filo e per segno il suo viaggio, arrivó il giorno della partenza.
Il percorso fino a Roma contava  poco piú di 2000 km. e dunque decise di prenotare dei pernottamenti lungo la strada:avrebbe  attraversato la Francia, un piccolo tratto di Svizzera e infine arrivato in Italia, puntando verso Roma.
Il giorno della partenza attivó il suo navigatore scrivendo come punto d’arrivo –
Rom -  Rimase a guardare per pochi attimi la parola che aveva scritto. Non riusciva ancora a credere che il giorno tanto atteso fosse giunto.

Si mise in viaggio.
Fino al suo arrivo in Francia andó tutto a gonfie vele. John sognava e non vedeva l’ora di arrivare nella cittá desiderata. Roma !
In Francia, il navigatore a insaputa di John, fece un pó di confusione. Forse non fu colpa del navigatore perché lui non poteva sapere che Rom non éra  Roma.
Fu cosí che John, anziché scendere  verso il sud della Francia,  fu condotto  verso la Germania. Forse John se ne accorse, ma  non se ne preoccupó perché il suo navigatore non lo aveva mai deluso prima d’ora e si sentí al sicuro.
Guidó alcune ore attraversando delle  Cittá. Poi il  paesaggio cambió e parve che non ci fossero altro che colline coperte da fitti boschi, pinete secolari e graziosi  paesini che si potevano solo immaginare, perché di loro non si vedeva che la punta di un campanile e qualche tetto rosso, tanto da sembrare  sprofondati nei boschi.
John, guardava assorto il panorama,  continuó imperterrito a guidare dove indicó il suo navigatore.
Verso sera, vide finalmente un cartello stradale con la scritta  -Rom -.( si trova nella regione Nordrein Westfalen in Germania).
-Sono arrivato- pensó John. Fermo´la macchina poco dopo il cartello che indicava la cittá. Ma questa non si vedeva. Scese e ammiró il panorama. Boschi, boschi, colline e ancora boschi.  Guardando fra gli alberi, che crescevano sul ciglio della strada, individuó dei tetti che sbucavano dal bosco nella valle sottostante. Una piccola insicurezza si stava insinuando nella sua mente. Ma é Roma questa? Non é possibile. Sulle foto era molto diversa e molto piú grande. „Sará forse dietro la collina?“ Pensó John.
Era cosí intento a guardare e sorpreso dall’inaspettato panorama, da non accorgersi che la sua macchina si era messa in movimento. Per distrazione aveva dimenticato di azionare il freno a mano. Quando vide la sua macchina scendere lentamente la discesa, cerco´di fermarla, ma purtroppo non ci riuscí e la macchina si fermó da sola sbattendo contro il cartello di benvenuto alla cittá e abbattendolo. Nel tentativo di salvataggio, John si  procuró una ferita, ai piedi e al braccio, cosí fu portato in ospedale dalla polizia che era stata avvertita dell’incidente da un viaggiatore di passaggio.
John fu ricoverato per due giorni all’ospedale nei pressi di Rom ( nel paesino non éra presente un’ospedale) dove raccontó l’accaduto a chi gli stava intorno, riuscendo a divertire tutto l’ospedale.

Non ho mai saputo se John continuó il suo viaggio verso  Roma, ma penso proprio di si. Era cosí deciso......


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Graziella Torboli
14 luglio  2019

mercoledì 29 maggio 2019

la mia, la tua, la nostra rabbia



La mia, la tua, la nostra rabbia

Cosa é la rabbia? Da dove viene?  Che cosa fa?

La rabbia é un piccolo  tzunami di emozioni  rimosse, che nutre gelosie , invidie e forti rancori.

Nella rabbia sono incluse  ferite non guarite,  torti subiti, disamori, abusi, inganni,  indifferenza e molti fatti subiti con  e senza il nostro consenso.

Sono molte le cose spiacevoli che pulsano  dentro di noi e che  non ci fanno stare bene. Ecco perché penso, che la rabbia dipenda  da chi la prova e meno  da chi la provoca.
Se sottovalutiamo i fatti che ci feriscono,  accumuliamo  rabbia  senza rendercene  conto.
Il malessere  provocato dalla rabbia  si insinua nella  nostra indole  e modifica in modo negativo la nostra visione di vita.

Gli sfoghi di rabbia  sono la prova di come noi  cerchiamo di alleviare il fardello di ricordi dolorosi,  ma purtroppo  senza successo, perché lo sfogo porta solo scompiglio ma non sollievo.

La rabbia é subdola . Ci fa sentire forti e giusti, mentre invece  lei é solo il riflesso di un grido di dolore per le ferite che ci torturano,  ma  che noi da tempo,  abbiamo  smesso di occuparcene.  
Io ritengo,  che sarebbe salutare per tutti noi una seria riflessione sulle nostre rabbie e sulla loro origine.

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Graziella Torboli 
maggio 2019.




lunedì 6 maggio 2019

sul razzismo



Sul razzismo


Il razzismo  non é un nuovo sintomo, ma attualmente  infesta il mondo.
La rivalitá fra i popoli  c’é sempre stata, ma la rivalitá é anche razzismo?
O il razzismo lo abbiamo scelto noi per colmare i vuoti di autostima che abbiamo ottenuto con il nostro materialismo?
Il razzismo si nutre di presunzione, ignoranza e paura.

Provare simpatia o antipatia per una persona, é un sentimento che tutti conosciamo e che umanamente parlando, non é facile da evitare.

Ma da questo, alla discriminazione di persone o popoli ci vuole molto di piú.

Ed é proprio questo „di piú“ che mi spaventa. Perché questo „ di piú“  é quello che ci fa sentire falsamente forti, che ci da diritti che non abbiamo, e che diventa  presunzione.

La diversitá dovrebbe sollecitare la nostra curiositá e non sollecitare la discriminazione. Ma quando subentra l’ignoranza, l’indifferenza, e la paura, evitare il razzismo é impossibile.

Possiamo non essere d’accordo con altre culture, regimi o religioni, ma chi ci da il diritto di discriminarle?

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Graziella Torboli
6 maggio 2019


venerdì 12 aprile 2019

È o .....èra




È o...èra


Cercare nel passato
Non porta beneficio,
ti lascia stanco e oppresso,
e mai felice o alato,

guardare al futuro
é pura utopia,
inutili pensieri
che ingombrano la via

lasciamo che il presente
ci apra cuore e mente,
vedremo che la vita
é tutta un grande evento.

Guardiamo in alto, in basso
E tutto intorno a noi,
nulla si ripete,
ma tutto si trasforma,

È questo il gran segreto
Che ci svela la natura,
seguire il cambiamento
é il grande avvenimento.


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Graziella Torboli

12 aprile 2019
















domenica 17 marzo 2019

sto imparando a volare

Questo pensiero, scritto da mia nipote Ingrid, mi é giunto come una folata di primavera. È fantastico come lei sia riuscita ad esprimere con grande sinceritá e chiarezza, le sue insicurezze e i suoi sogni.

Graziella Torboli
 17 marzo 2019


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31.01.2019 Ingrid Franken


Sto imparando a volare

Ho 17 anni, tra esattamente due mesi da oggi potrò andare in galera. Ci andrò mai in galera?
Sai come mi sento? Cosa provo? Un senso di angoscia, malinconia, paura. Anche se non mi piacciono i bruchi e ho paura delle farfalle, trovo che la mia vita assecondi il loro ciclo, il suo ciclo: del bruco che diventa farfalla. Ecco, io ritengo che si nasca bruchi e che bruchi si rimanga fino alla giovane età di 13 anni, poi lentamente ci si inizia a costruire il proprio bozzolo di saliva tutto intorno, la propria barriera dal mondo esterno, per iniziare a riflettere sul concetto di vita. Cos’è la vita? Perché sono qui? Si iniziano a fare supposizioni fantascientifiche e psicologiche che rischiano di portare alla pazzia se si decide di buttarcisi a capofitto subito, senza delle - come dire - senza delle basi, senza delle pause, senza un’ancora che riporti sulla nave. E se fosse tutta un’illusione? Se il mondo in cui vivo non esistesse ma fosse solo frutto della mia fervida immaginazione? Infinito. Cos’è l’infinito? Cosa vuole dire? Domande su domande e ancora domande. La mia vita in sintesi è questo: un fiume di domande che scorre immane, grattando e graffiando il terreno che lo
delimita, facendo affogare sassi e terriccio umido, erba verde e fiori rosa, allargandosi e prendendo nuove strade, imboccando diversi sentieri che chissà dove lo porteranno, chissà in che mare riuscirà a sfociare o in quali mari.
Mia madre dice di stare tranquilla, dice che compiuti i 18 nulla cambia e che bisogna prenderli alla leggera, con semplicità e allegria. Sarò un’adulta, entrerò a fare parte dei grandi, dovrò pagare di più per andare al cinema e mi sarà negata quella spensieratezza infantile, in cui, nonostante tutto, va sempre tutto bene.
Quando ero piccolina pensavo ai 18 come qualcosa di irraggiungibile, che era lì, sì, proprio davanti a me, ma che l’avrei raggiunta chissà quando. Li sentivo così lontani che non mi ponevo nemmeno il problema, anzi ci sognavo attorno - felicemente fidanzata con Zach Efron, matricola in una scuola di streghe e amica di un ippopotamo -, ma adesso mi si stanno buttando addosso a capofitto. È come se fossi su un treno che sta andando a 1000 km/h verso una fitta nebbia incolore. È grigia? È nera? È rosa? Vorrei scendere, tirare in basso quella leva rossa che si trova vicino alle porte per avvertire il conducente che c’è un problema e che bisogna fermare il treno, ma non c’è nessuna leva, non c’è nessuna porta. L’unica soluzione sarebbe quella di lanciarsi fuori dal finestrino, ma sai che male, il treno sta andando troppo veloce e il vetro dei finestrini è così spesso che al solo pensiero di
provare a uscire da lì mi si romperebbe un braccio per lo sforzo, chissà che succederebbe se pensassi di riuscire davvero a scagliarmi là fuori. Il pavimento del convoglio ferroviario trema, sento le rotaie gorgogliare e l’aria profumata all’esterno graffiare stridulamente il metallo. Ma che sta succedendo? Sono seduta sull’ultimo sedile in fondo all’ultimo vagone del treno, le caramelle gommose della mia vita sbattono sulle finestrelle, come anche gli orchi verdi dalle ampie narici che colpiscono con violenza le fessure degli sportelli.
Vogliono entrare, lo sento, tutti quanti, ma non capisco, per me sono già dentro, me li ricordo quasi tutti, proprio qui, nella mia testa, nel mio cuore. Lo zucchero filato salato si appiccica sul metallo ruvido che fa da corazza al mio mezzo. Intravedo in lontananza cannoni splendenti che gonfiano bolle di sapone che non scoppiano mai, che riflettono la luce del sole, scintillanti, leggere, fluttuanti sfere incolore. Mi alzo dal mio posto, perdo l’equilibrio, sto per cadere, afferro il braccio di un sedile qualunque e mi rialzo. È tutto così confuso, l’aria si fa opaca e inizio a non vederci molto bene, così corro, corro più veloce che posso verso il primo vagone, verso il conducente, verso un volto che potrebbe essermi amico. Passo da un vagone all’altro e il fiato inizia a mancarmi, le gambe si muovono rapide e scattanti, non me le sento quasi più. Sto volando o sto ancora correndo? I paesaggi scorrono fulminei ai miei lati, non li guardo, ma percepisco i loro occhi su di
me, percepisco il loro calore e il loro gelo lacerarmi la carne, squarciarmi il cuore, trapassarmi l’anima. Ma non mi importa, non rallento. Ho paura, non so cosa mi aspetta, solo a me, dietro a quella fitta nebbia incolore, grigia, nera o rosa che sia; non rallento. Sento angoscia, un sacco pieno di sabbia che si svuota lentamente, scivolando tra le mie viscere e graffiando la mia pelle; non rallento. Provo malinconia, un senso di vuoto e di tristezza dato dal mio smarrimento, dal mio scappare involontario ma necessario dall’infanzia, da un mondo fatto di caramelle e di orchi, o almeno da un mondo che pensavo fosse fatto solo di caramelle e orchi. Accelero. Lo troverò davvero il conducente?
Non ho molti amici, il problema è che faccio fatica a relazionarmi con gli altri. Io ci provo e all’inizio ci riesco anche a chiacchierare con degli sconosciuti, ma poi mi annoio, mi blocco e me ne vado. Fino a due anni fa la situazione era ancora peggio: non riuscivo ad aprire bocca in un gruppo di almeno tre persone. Assurdo eh, una ragazzina di 15 anni che ha paura di parlare. Quando ci penso vorrei tirarmi uno schiaffo sulla guancia e dirmi:
Ingrid Franken 31.01.2019
“Si può sapere che fai? La vita è una sola, ma di burroni da cui lanciarsi verso l’ignoto ce ne sono un sacco. Scegline uno e lanciati in qualcosa di sconosciuto, supera le barriere che ti sei imposta, distruggi quel cumulo di carta e lacrime che hai costruito, impara a volare, dannazione!”
Leggevo tanto a quel tempo, più di adesso, ma solo perché avevo più tempo e più necessità di un mondo in cui vivere. Mi immergevo in ignoranti racconti d’amore, tutti uguali: stessa trama, stessi personaggi, stesso finale, solo i nomi cambiavano e a me bastava quello. Pensavo di vivere anch’io tra delle bianche pagine di carta piene di segnetti neri, che anche a me sarebbe successo qualcosa di estasiante un giorno, ma quel giorno non arrivò mai, o almeno questo era quello che pensavo, finché ad un certo punto ho deciso di chiudere quel libro e di aprirne uno nuovo.
Gli occhi li ho sempre avuti aperti, solo che in quel periodo erano sempre rivolti verso il basso, verso il cemento che otturava la mia vita e che mi costringeva a non staccare gli occhi da quel mare nero e bianco che scivolava tra le mie piccole dita pallide. Così ho alzato il capo e ho guardato di nuovo il cielo, perdendomi in quel blu intenso che ti sovrasta durante una mattina primaverile, perdendomi in quell’aria profumata di brioche fresca e the alla menta che mi sussurra: libertà. Da lì mi sono ripromessa di tenere sempre la testa alta, di pensare ottimista e di iniziare a imparare a volare per davvero.
Ma prima, la soluzione che tutti pensavano e pensano sia giusta per iniziare a relazionarsi con gli altri non era quella che per me è ora:
“Fingiti la persona che avrebbe il coraggio di buttarsi dal burrone, forse poi scoprirai che quella persona è la stessa che c’è dentro di te”
Le tre paroline che mi dicevano gli altri erano diverse, più semplici ma più infinitamente difficili. Quella frase l’ho sentita così tante volte che pensavo fosse talmente giusta che fingevo di non vedere il problema che si creava lentamente dentro di me dopo che me la dicevano:
“Sii te stessa”
Ma chi sono io? Chi sono io? Chi sono? Chi? Sto vivendo il mio 17esimo inverno e non so ancora chi sono.
Forse non lo saprò mai, forse non devo saperlo o forse non voglio. Davvero? Non lo voglio? Questo devo ancora scoprirlo, ma so che, nonostante non mi sia ancora per niente chiaro chi io sia, posso affermare fermamente che il mio “io” lo sto costruendo o per meglio dire, lo sto modificando. Sto eliminando delle cose, ne sto aggiungendo altre e ne sto migliorando o peggiorando altre ancora. È una continua mutazione di qualcosa di astratto, di non concreto che per noi è tutto, o almeno per me lo  è, anche se non so cos’è. È talmente strana come cosa…un po’ come un’ostrica: entra un granello di sabbia dentro alla conchiglia e questa lavora e lacrima un liquido lattiginoso che crea una meravigliosa e splendente perla attorno a quel nulla che era quel granello di sabbia. Rileggendola come metafora non è molto chiara, anche perché l’ostrica vuole espellere quel granello di sabbia. Il fatto è che, non so ancora il perché, ma la formazione del mio “io”
lo paragono quasi istantaneamente alla perla dell’ostrica. Forse perché anch’io a volte non voglio accettare parti di me che invece si aggrappano con tutte le loro forze agli angoli della mia perla in fase di creazione; allora provo ad aggiungere comportamenti che mi piacciono o a sviluppare pensieri che mi interessano per camuffare i miei punti deboli e che contribuiscono a far lacrimare ancora di più l’ostrica. La mia ostrica.
Quanto diventerà grande e lucente la mia perla? Ma soprattutto, che luce assumerà, entrata nel mondo degli adulti?
A volte mi chiedo cosa mi aspetto dai 18? Cosa succederà quando varcherò la porta dei grandi? Mi porrò un nuovo traguardo? E quale sarà? I 20, i 30, i 40 anni? Gli 80? Già adesso mi sembra tutto estremamente lontano, ma il tempo, se esiste davvero, corre veloce, senza mai fermarsi, facendo girare ininterrottamente le lancette dell’orologio e le ruote delle macchine. Non so cosa succederà, superata la fitta nebbia incolore, grigia, nera o rosa che sia. Non so cosa diventerò, rotto l’involucro di  saliva che viene chiamato bozzolo. Nonso cosa rimarrà di me, finito il mio tempo. Forse tornerò un nuovo granello di sabbia e tutto rinizierà a vorticare.
Per adesso so cosa vorrei fare domani, cosa non mi piacerebbe fare nei prossimi giorni, cosa mi piacerebbe
studiare nei prossimi anni e che genere di persona vorrei diventare:
• scegliere cosa indossare per la festa di sabato
Ingrid Franken 31.01.2019
• andare alla festa di sabato
• Lettere e Regia
• che si accetta per quella che sono stata e per quella che sarò in quel momento
Ma alla festa ci andrò, perché mi sembra un buon burrone da cui lanciarsi.

lunedì 4 marzo 2019

sul silenzio



Il Silenzio é come il Nulla.

Sprofondare in un mondo senza voci, senza rumori, senza pensieri.
Solo il battito del cuore conferma la nostra esistenza.
Il silenzio impaurisce, ma ci ridimensiona.
Vogliamo voci, rumori, per sentirci vivi, per non sentirci soli.
Il silenzio ci  isola da tutto e lascia finalmente emergere ció che realmente siamo........un pulviscolo vagante nello spazio.


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Graziella Torboli

4 marzo 2019

lunedì 11 febbraio 2019

Profumi



Profumi dimenticati


Remoti ricordi,
profumi dimenticati,
sorgono dal nulla,

invadono l’anima,
come calde brezze
o sferzate rabbiose,

attimi di vita,
che rincorrono e
tentano di fermare
il tempo che fugge.


°°°°

Graziella Torboli

Febbr. 2019