domenica 17 marzo 2019

sto imparando a volare

Questo pensiero, scritto da mia nipote Ingrid, mi é giunto come una folata di primavera. È fantastico come lei sia riuscita ad esprimere con grande sinceritá e chiarezza, le sue insicurezze e i suoi sogni.

Graziella Torboli
 17 marzo 2019


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31.01.2019 Ingrid Franken


Sto imparando a volare

Ho 17 anni, tra esattamente due mesi da oggi potrò andare in galera. Ci andrò mai in galera?
Sai come mi sento? Cosa provo? Un senso di angoscia, malinconia, paura. Anche se non mi piacciono i bruchi e ho paura delle farfalle, trovo che la mia vita assecondi il loro ciclo, il suo ciclo: del bruco che diventa farfalla. Ecco, io ritengo che si nasca bruchi e che bruchi si rimanga fino alla giovane età di 13 anni, poi lentamente ci si inizia a costruire il proprio bozzolo di saliva tutto intorno, la propria barriera dal mondo esterno, per iniziare a riflettere sul concetto di vita. Cos’è la vita? Perché sono qui? Si iniziano a fare supposizioni fantascientifiche e psicologiche che rischiano di portare alla pazzia se si decide di buttarcisi a capofitto subito, senza delle - come dire - senza delle basi, senza delle pause, senza un’ancora che riporti sulla nave. E se fosse tutta un’illusione? Se il mondo in cui vivo non esistesse ma fosse solo frutto della mia fervida immaginazione? Infinito. Cos’è l’infinito? Cosa vuole dire? Domande su domande e ancora domande. La mia vita in sintesi è questo: un fiume di domande che scorre immane, grattando e graffiando il terreno che lo
delimita, facendo affogare sassi e terriccio umido, erba verde e fiori rosa, allargandosi e prendendo nuove strade, imboccando diversi sentieri che chissà dove lo porteranno, chissà in che mare riuscirà a sfociare o in quali mari.
Mia madre dice di stare tranquilla, dice che compiuti i 18 nulla cambia e che bisogna prenderli alla leggera, con semplicità e allegria. Sarò un’adulta, entrerò a fare parte dei grandi, dovrò pagare di più per andare al cinema e mi sarà negata quella spensieratezza infantile, in cui, nonostante tutto, va sempre tutto bene.
Quando ero piccolina pensavo ai 18 come qualcosa di irraggiungibile, che era lì, sì, proprio davanti a me, ma che l’avrei raggiunta chissà quando. Li sentivo così lontani che non mi ponevo nemmeno il problema, anzi ci sognavo attorno - felicemente fidanzata con Zach Efron, matricola in una scuola di streghe e amica di un ippopotamo -, ma adesso mi si stanno buttando addosso a capofitto. È come se fossi su un treno che sta andando a 1000 km/h verso una fitta nebbia incolore. È grigia? È nera? È rosa? Vorrei scendere, tirare in basso quella leva rossa che si trova vicino alle porte per avvertire il conducente che c’è un problema e che bisogna fermare il treno, ma non c’è nessuna leva, non c’è nessuna porta. L’unica soluzione sarebbe quella di lanciarsi fuori dal finestrino, ma sai che male, il treno sta andando troppo veloce e il vetro dei finestrini è così spesso che al solo pensiero di
provare a uscire da lì mi si romperebbe un braccio per lo sforzo, chissà che succederebbe se pensassi di riuscire davvero a scagliarmi là fuori. Il pavimento del convoglio ferroviario trema, sento le rotaie gorgogliare e l’aria profumata all’esterno graffiare stridulamente il metallo. Ma che sta succedendo? Sono seduta sull’ultimo sedile in fondo all’ultimo vagone del treno, le caramelle gommose della mia vita sbattono sulle finestrelle, come anche gli orchi verdi dalle ampie narici che colpiscono con violenza le fessure degli sportelli.
Vogliono entrare, lo sento, tutti quanti, ma non capisco, per me sono già dentro, me li ricordo quasi tutti, proprio qui, nella mia testa, nel mio cuore. Lo zucchero filato salato si appiccica sul metallo ruvido che fa da corazza al mio mezzo. Intravedo in lontananza cannoni splendenti che gonfiano bolle di sapone che non scoppiano mai, che riflettono la luce del sole, scintillanti, leggere, fluttuanti sfere incolore. Mi alzo dal mio posto, perdo l’equilibrio, sto per cadere, afferro il braccio di un sedile qualunque e mi rialzo. È tutto così confuso, l’aria si fa opaca e inizio a non vederci molto bene, così corro, corro più veloce che posso verso il primo vagone, verso il conducente, verso un volto che potrebbe essermi amico. Passo da un vagone all’altro e il fiato inizia a mancarmi, le gambe si muovono rapide e scattanti, non me le sento quasi più. Sto volando o sto ancora correndo? I paesaggi scorrono fulminei ai miei lati, non li guardo, ma percepisco i loro occhi su di
me, percepisco il loro calore e il loro gelo lacerarmi la carne, squarciarmi il cuore, trapassarmi l’anima. Ma non mi importa, non rallento. Ho paura, non so cosa mi aspetta, solo a me, dietro a quella fitta nebbia incolore, grigia, nera o rosa che sia; non rallento. Sento angoscia, un sacco pieno di sabbia che si svuota lentamente, scivolando tra le mie viscere e graffiando la mia pelle; non rallento. Provo malinconia, un senso di vuoto e di tristezza dato dal mio smarrimento, dal mio scappare involontario ma necessario dall’infanzia, da un mondo fatto di caramelle e di orchi, o almeno da un mondo che pensavo fosse fatto solo di caramelle e orchi. Accelero. Lo troverò davvero il conducente?
Non ho molti amici, il problema è che faccio fatica a relazionarmi con gli altri. Io ci provo e all’inizio ci riesco anche a chiacchierare con degli sconosciuti, ma poi mi annoio, mi blocco e me ne vado. Fino a due anni fa la situazione era ancora peggio: non riuscivo ad aprire bocca in un gruppo di almeno tre persone. Assurdo eh, una ragazzina di 15 anni che ha paura di parlare. Quando ci penso vorrei tirarmi uno schiaffo sulla guancia e dirmi:
Ingrid Franken 31.01.2019
“Si può sapere che fai? La vita è una sola, ma di burroni da cui lanciarsi verso l’ignoto ce ne sono un sacco. Scegline uno e lanciati in qualcosa di sconosciuto, supera le barriere che ti sei imposta, distruggi quel cumulo di carta e lacrime che hai costruito, impara a volare, dannazione!”
Leggevo tanto a quel tempo, più di adesso, ma solo perché avevo più tempo e più necessità di un mondo in cui vivere. Mi immergevo in ignoranti racconti d’amore, tutti uguali: stessa trama, stessi personaggi, stesso finale, solo i nomi cambiavano e a me bastava quello. Pensavo di vivere anch’io tra delle bianche pagine di carta piene di segnetti neri, che anche a me sarebbe successo qualcosa di estasiante un giorno, ma quel giorno non arrivò mai, o almeno questo era quello che pensavo, finché ad un certo punto ho deciso di chiudere quel libro e di aprirne uno nuovo.
Gli occhi li ho sempre avuti aperti, solo che in quel periodo erano sempre rivolti verso il basso, verso il cemento che otturava la mia vita e che mi costringeva a non staccare gli occhi da quel mare nero e bianco che scivolava tra le mie piccole dita pallide. Così ho alzato il capo e ho guardato di nuovo il cielo, perdendomi in quel blu intenso che ti sovrasta durante una mattina primaverile, perdendomi in quell’aria profumata di brioche fresca e the alla menta che mi sussurra: libertà. Da lì mi sono ripromessa di tenere sempre la testa alta, di pensare ottimista e di iniziare a imparare a volare per davvero.
Ma prima, la soluzione che tutti pensavano e pensano sia giusta per iniziare a relazionarsi con gli altri non era quella che per me è ora:
“Fingiti la persona che avrebbe il coraggio di buttarsi dal burrone, forse poi scoprirai che quella persona è la stessa che c’è dentro di te”
Le tre paroline che mi dicevano gli altri erano diverse, più semplici ma più infinitamente difficili. Quella frase l’ho sentita così tante volte che pensavo fosse talmente giusta che fingevo di non vedere il problema che si creava lentamente dentro di me dopo che me la dicevano:
“Sii te stessa”
Ma chi sono io? Chi sono io? Chi sono? Chi? Sto vivendo il mio 17esimo inverno e non so ancora chi sono.
Forse non lo saprò mai, forse non devo saperlo o forse non voglio. Davvero? Non lo voglio? Questo devo ancora scoprirlo, ma so che, nonostante non mi sia ancora per niente chiaro chi io sia, posso affermare fermamente che il mio “io” lo sto costruendo o per meglio dire, lo sto modificando. Sto eliminando delle cose, ne sto aggiungendo altre e ne sto migliorando o peggiorando altre ancora. È una continua mutazione di qualcosa di astratto, di non concreto che per noi è tutto, o almeno per me lo  è, anche se non so cos’è. È talmente strana come cosa…un po’ come un’ostrica: entra un granello di sabbia dentro alla conchiglia e questa lavora e lacrima un liquido lattiginoso che crea una meravigliosa e splendente perla attorno a quel nulla che era quel granello di sabbia. Rileggendola come metafora non è molto chiara, anche perché l’ostrica vuole espellere quel granello di sabbia. Il fatto è che, non so ancora il perché, ma la formazione del mio “io”
lo paragono quasi istantaneamente alla perla dell’ostrica. Forse perché anch’io a volte non voglio accettare parti di me che invece si aggrappano con tutte le loro forze agli angoli della mia perla in fase di creazione; allora provo ad aggiungere comportamenti che mi piacciono o a sviluppare pensieri che mi interessano per camuffare i miei punti deboli e che contribuiscono a far lacrimare ancora di più l’ostrica. La mia ostrica.
Quanto diventerà grande e lucente la mia perla? Ma soprattutto, che luce assumerà, entrata nel mondo degli adulti?
A volte mi chiedo cosa mi aspetto dai 18? Cosa succederà quando varcherò la porta dei grandi? Mi porrò un nuovo traguardo? E quale sarà? I 20, i 30, i 40 anni? Gli 80? Già adesso mi sembra tutto estremamente lontano, ma il tempo, se esiste davvero, corre veloce, senza mai fermarsi, facendo girare ininterrottamente le lancette dell’orologio e le ruote delle macchine. Non so cosa succederà, superata la fitta nebbia incolore, grigia, nera o rosa che sia. Non so cosa diventerò, rotto l’involucro di  saliva che viene chiamato bozzolo. Nonso cosa rimarrà di me, finito il mio tempo. Forse tornerò un nuovo granello di sabbia e tutto rinizierà a vorticare.
Per adesso so cosa vorrei fare domani, cosa non mi piacerebbe fare nei prossimi giorni, cosa mi piacerebbe
studiare nei prossimi anni e che genere di persona vorrei diventare:
• scegliere cosa indossare per la festa di sabato
Ingrid Franken 31.01.2019
• andare alla festa di sabato
• Lettere e Regia
• che si accetta per quella che sono stata e per quella che sarò in quel momento
Ma alla festa ci andrò, perché mi sembra un buon burrone da cui lanciarsi.

lunedì 4 marzo 2019

sul silenzio



Il Silenzio é come il Nulla.

Sprofondare in un mondo senza voci, senza rumori, senza pensieri.
Solo il battito del cuore conferma la nostra esistenza.
Il silenzio impaurisce, ma ci ridimensiona.
Vogliamo voci, rumori, per sentirci vivi, per non sentirci soli.
Il silenzio ci  isola da tutto e lascia finalmente emergere ció che realmente siamo........un pulviscolo vagante nello spazio.


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Graziella Torboli

4 marzo 2019