domenica 15 febbraio 2015

Domenica mattina





Da ieri piove dirotto.
Il ticchettare monotono, scrosciante e insistente della pioggia mi ha svegliata all’alba.
Dopo aver sorbito il mio amato caffè, ho fatto esercizi di matematica per due ore e mi sento molto soddisfatta.
Oggi non potrò fare lunghe passeggiate, non potrò lavorare in giardino, ma resteró in casa a cucire.
Sul mio tavolo, da giorni sono sparse stoffe, pizzi e merletti colorati che aspettano di diventare allegre borsette o sacchettini.
Ieri, mentre cucivo, ho ascoltato un CD di Liszt. Sonata in B minore.
Ho dovuto interrompere la sonata perché anche se era bella, mi stava rattristando troppo. Pioggia, nebbia, grigiore e musica triste, non sono il massimo dei piaceri.
Ho sostituito il CD di Liszt con uno di Chopin, di soli valzer.
Nell’ascoltarlo, mi pareva che il mondo si colorasse lentamente di rosa.
Non ci vuole molto per sentirsi meglio.

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Graziella Torboli
Febbr. 2015

domenica 8 febbraio 2015

abbaglio






Una folata di vento,
infocato,
impetuoso,
inatteso,
lampo accecante,
fulmine rovente,
sconvolge la quiete,
toglie il respiro,
giace ferito, abbandonato,
un cuore,
nel deserto amico..


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Graziella Torboli
8 febbr. 2015

venerdì 6 febbraio 2015

sulla diversità e sul cibo




Sono ritornata in Italia da cinque anni dopo essere vissuta in Germania per quarant’ anni.Il cambiamento è stato notevole, e nel frattempo, ho fatto una scoperta interessante e piacevole che ora vorrei raccontare.

La mia vita all’estero é iniziata negli anni 60, ho sposato un uomo tedesco e ho iniziato una nuova vita in un paese del quale non sapevo nulla.
Ero giovane, innamorata e sicura di mè.
L’ ambiente sociale e famigliare di mio marito divenne il mio. Creammo  cosí una numerosa famiglia e per tanti anni fui occupata ad accudirla.
Tuttavia non é di questo che voglio parlare, ma della mia posizione nella nuova societá e nella nuova cultura.                                      
Lungi da me, voler raccontare tutti li scontri sociali e culturali che ho vissuto, ma parzialmente é necessario.
Io non riuscii mai a sentirmi una di loro, anche se in veritá avevo fatto notevoli sforzi per diventarlo. In famiglia o in societá, non veniva persa nessuna occasione per farmi notare che ero straniera. Con il passare degli anni anche se la situazione non era cambiata, mi ero adeguata al sistema ed imparai bene la lingua tedesca.
Sentirsi diversi dagli altri, porta una sensazione di solitudine e di insicurezza, che non ci abbandona mai.
La mia posizione sociale, era paragonabile ad un punto P esterno che vuole entrare in un cerchio ma non ci riesce, nemmeno in forma tangente e rimane sempre fuori.
Avevo una bella famiglia, un bravo marito, un giro di amici e conoscenti, ma nonostante tutto rimanevo l’italiana, la mamma italiana.          
Ció che mi aiutó , senza che me ne rendessi conto, fu la fusione culturale che si formó dentro di me. La mia cultura e quella acquisita, diedero il meglio per farmi crescere.
Il punto di diversitá in questione e che vorrei menzionare é " il cibo".
Su questo punto le due culture si scontravano senza pietá e per questo non sono mai riuscita a trovare un consenso culinario soddisfacente. Durante i primi anni di matrimonio, cercavo di parlare di cucina con le conoscenti che abitavano vicino a me, la nuova cucina mi interessava e avrei voluto scambiare con loro delle nuove ricette. Invece niente di tutto questo. Dicevano di cucinare molto poco e ai loro bambini bastava una pasta o un riso in bianco.
Quello che le signore facevano molto bene erano le torte. Ne sfornavano di ogni forma e gusto. Io ero negata per fare dolci, ma poi, col tempo , imparai a farne alcuni con grande soddisfazione di mio marito che amava molto i dolci.
Un giorno una signora mi chiese come facevo ad addensare il sugo di pomodoro per la pasta perché lei ci metteva la farina bianca. Io rimasi sconcertata, questa non l’avevo mai sentita. Cosí rinunciai ad arricchire la mia cucina con nuove ricette, a parte una ricetta per la lepre in umido, che mi diede la cuoca di mia suocera. La lepre alla panna. Nella mia famiglia questa ricetta é diventata una tradizione.

Anche se a tutti piaceva il cibo che cucinavo o come lo cucinavo, l’allusione alla mia diversitá culturale non mancava mai.
Questo a volte mi faceva alquanto arrabbiare perché i loro commenti non erano benevoli, ma benevolmente discriminanti.
Mio marito non si comportava diversamente dagli altri e quando uscivamo insieme a cena o eravamo invitati, si dimostrava sempre molto imbarazzato e disturbato quando io criticavo le pietanze o rimandavo un piatto al cuoco del ristorante perché lo trovavo mal cucinato o perché ritenevo che l’insalata fosse floscia.
Mi chiamavano capricciosa ed intollerante.
Dentro di me pensavo „ ma perché non mi capiscono?“
Anche per mio marito ero l’ italiana che aveva le idee fisse sul cibo.
Devo ammettere che  era quasi riuscito a convincermi.

Sono tornata in Italia, ma non sono ancora „italiana“.  In paese mi chiamano „ la tedesca“ e non piú, „ l’italiana“, „ bella italia“o „mamma spaghetti“. „Non finirá mai“ mi dico.
In questi cinque anni mi sono riavvicinata alla mia cultura scoprendo di non essere piú sola.  Al supermercato, o nei negozi, mi sono sorpresa ad ascoltare le signore che mentre aspettavano al banco parlavano di ció che volevano cucinare o come lo cucinavano. Perfino le cassiere davano consigli in merito. Il tema Cibo, in Italia é  un tema  comune non una stravaganza.
Che sollievo ho provato  sentendomi come gli altri, non sentirmi  piú al posto sbagliato, non dover piú giustificare il modo di essere o di fare.
„Ho ritrovato i miei simili“ mi sono detta.
La mia cultura culinaria ha resistito per quaranta lunghi anni a critiche, sarcasmi e derisioni., ma ha tenuto testa a tutti.

Questo epilogo mi ricorda la storiella del“ brutto anatroccolo“ di Andersen. La conoscete?

L’uovo di un cigno cadde per errore nel nido covato da un’ anatra.
Quando i gusci si aprirono, l’anatra si accorse subito che uno dei suoi anatroccoli era diverso dagli altri. Nacque cosí non solo un „conflitto“ in famiglia ma anche di gruppo.
Le tante critiche e derisioni di tutte le altre anatre, che giornalmente l’anatra doveva subire per aver dato alla luce un anatroccolo diverso dagli altri, la portarono a espellere  il brutto anatroccolo dal suo gruppo.
Il brutto anatroccolo si trovó a vagare da solo in cerca di un amico.
Ne trovó alcuni ma non duravano a lungo. Il piccolo anatroccolo cercando di adattarsi alla loro vita, si metteva continuamente nei guai e venica scacciato perché sbagliava tutto.
Un giorno, si trovó davanti ad uno stagno dove nuotavano dei cigni.
Restó affascinato dalla loro bellezza e continuó a guardarli pensando: „anch’io vorrei essere come loro“.
Ad un tratto il suo sguardo si abbassó e vide la sua immagine nell’acqua.
Non la riconobbe subito, ma gli piacque molto. Poco dopo venne raggiunto dagli altri cigni che lo invitarono ad andare con loro.
Finalmente aveva trovato i suoi simili.
È un breve riassunto di una bellissima fiaba, ma mi é sembrata molto affine alla mia esperienza di vita.


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Graziella Torboli
febbraio 2015

venerdì 30 gennaio 2015

il tempo




Scorre il tempo
Avvolto di vita
vissuta
Fugge il tempo
Verso l’orizzonte
Infinito
Portando con sé
Il profumo della vita.


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Graziella Torboli
gennaio 2015

lunedì 26 gennaio 2015

sulla mediocritá




La mediocritá

Non é sufficiente ammettere, con pensieri o parole, la propria mediocritá illudendoci cosí di averla individuata.
È un dato di fatto, che in  tutti noi  ne alloggia  una parte di essa.
Quando discutiamo, ci lamentiamo o disprezziamo la mediocritá altrui , dimostriamo di riconoscerla.
Riconosciamo inconsapevolmente noi stessi negli altri.
Individuare ed accettare la propria mediocritá é un arduo atto di coraggio che ci porterá a trasformare una veritá esistente in un atto d’amore.


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Graziella Torboli
Genn. 2015




domenica 18 gennaio 2015

lo specchio




Ho scoperto di essere una persona normale. Sono un po' delusa perché avrei voluto scoprire in me della genialitá, delle idee nuove  e una vasta fantasia.
Ho scoperto che non sono nulla di tutto questo.
Sono normale e quasi banale, ma sono , „ io“.
Mi guardo allo specchio e vedo la nuda realtà. Niente oro, niente argento o pietre preziose.
Insisto a guardare la mia immagine per vedermi meglio, fisso lo specchio finché la mia immagine sparisce.
Il mio sguardo si volge verso l’ alto e vedo una collana di fiori rosa pendere dallo specchio.
Sulla parete , poco più in là, è appesa una piccola figura con un vestito  azzurro ornato di  conchiglie. „la fata dei mari“ mi era stato detto.
Alcune farfalle colorate sono appese quà e là. Un cuoricino di stoffa rossa, ricordo di un lontano amore, pende fra due minuscoli quadretti con dipinti dei fiori. Ancora due farfalle messe a caso.
Sui lati , del mobile bianco situato sotto lo specchio, due negretti di Murano reggono numerose collane.
Un porta orecchini a forma di cuore, di metallo bianco, fa mostra di colori e luccichii.
Un porta gioielli di quarzo rosa, stracolmo di braccialetti, non riesce piú a calare il coperchio e rimane sempre socchiuso.
Guardo il mobile bianco. Due porticine ai lati, ornate di vetri, il cassetto in alto,  i piccoli cassetti in basso chiusi da un’anta ornata da vetrini smerigliati. Mi piace molto questo mobile.
Torno a guardare nello specchio e non mi vedo piú.
Non vedo più un volto riflesso nello specchio, ma mille colori e piccole cose si rivelano ai miei occhi.

Sono le mille piccole cose ed i mille colori che portano il mio nome.

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Graziella Torboli
gennaio 2015

lunedì 5 gennaio 2015

Un paragone



     

Questa mattina mi ha salutato un giornata bellissima.
Cielo sereno, aria tiepida ed un sole splendente.
Un vero invito a fare una lunga passeggiata.
Come al solito, dopo essere uscita dal paese, ho camminato lungo un sentiero che attraversa la campagna. Una grande pianura con campi arati, alcuni dei quali giá verdi per il germoglio del grano. Tutto era silenzio. L’ aria profumava come in primavera. Guardavo i soliti alberi che giá conosco. Tutti spogli e grigi.
Ad un tratto, ammirando un grande vecchio albero ho notato una cosa che mi pareva insolita.
Il tronco possente dell’ albero, una Farnia, mostrava vari punti dove, durante la crescita, era stato reciso un ramo.
Erano dei piccoli cerchi con la circonferenza ingrossata ed evidentemente di vecchia data. Ció che mi ha sorpresa, era il fatto, che sotto o sopra, o da una parte, insomma, in  tutti  i cerchi crescevano dei ramoscelli, piú grossi in alto, piú sottili verso il basso.
Mi é sembrata una cosa insolita perché negli altri alberi non era cosí. Non é insolito notare la crescita di alcuni ramoscelli  dove é stato reciso un ramo, ma sul tronco della Farnia tutti i rami recisi ricrescevano.
Guardando l’albero ho pensato: questo albero dev’essere molto forte e determinato. Non puó evitare che vengano tagliati i suoi rami ma non per questo, desiste dal continuare a crescere come vuole lui.
Come mia consuetudine, ho pensato a noi, essere umani e mi é sorto un paragone.

Tutti noi,  durante la crescita abbiamo subito varie ferite, senza poterci difendere.
Cedere al dolore di una ferita é umano, ma lasciare che il dolore ci impedisca di crescere é inumano. 
    

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Graziella Torboli
4 gennaio 2015